Nel futuro ci aspetta Ghost in the Shell

“La prossima guerra sarà per catturare l’attenzione”. Con queste parole inizia il Public Camp 2010, il meeting dei comunicatori pubblici che si sono riuniti per il secondo anno consecutivo a Bari nell’ambito del Festival dell’Innovazione. Le parole con cui Eugenio Iorio, dirigente della Comunicazione Istituzionale della Regione Puglia, dà il via alle danze dell’incontro inaugurale “La società delle reti. Quando la comunicazione produce agire pubblico” fanno immediatamente capire qual è la posta in gioco in questi tre giorni in cui si alterneranno personaggi del calibro di Manuel Castells, Albert Làszlò Barabàsi e Michel Maffesoli, solo per citarne alcuni tra i più citati nelle lezioni di comunicazione. “In una società in cui la saturazione dell’attenzione (information-overload, direbbe Chomsky) rende ormai inutile la ripetizione all’infinito del messaggio, strategia che ha fatto la fortuna di Berlusconi imprenditore”, e ancora: “se la stagione dell’illuminismo è finita, le persone non si convincono più con gli strumenti della logica ma puntando alle emozioni”. Quindi “il terreno su cui si gioca la partita è la relazione”.

Immaginare la società del “futuro anteriore” è un compito che tocca anche ai comunicatori, a coloro che, scientificamente, costruiscono le narrazioni in cui viviamo quotidianamente, creando i nostri bisogni, i nostri miti, i nostri ideali. A Bari, nei tre giorni del Public Camp, si discute del mondo futuro citando Matrix e “Ghost in the Shell”, e non Marx o Smith perché, come dice Castells (e abilmente riportato nel materiale di comunicazione dell’evento): “[…] il potere si fonda sulla comunicazione”.

Il pensiero va immediatamente a internet, quindi, ai social network che tanto stanno influenzando il modo di interagire tra esseri umani. Iorio è chiaro fin da subito “non è vero che il web è democratico e libero”. E non tanto perché ogni nostra parola è controllata, ma perché i protocolli di funzionamento dell’intero sistema sono di proprietà privata, Google decide cosa dobbiamo trovare se cerchiamo “albergo a Roma” e Facebook archivia i nostri gusti personali in materia di musica, di politica o di religione.

Se condivido le foto delle vacanze con gli amici, inconsapevolmente sto contribuendo ad una ricerca di mercato. Con buona pace di Debord, siamo ingranaggi del sistema anche quando siamo in chat.

Il problema diventa tattico: capire chi detiene il potere permette di studiare strategie efficaci. Secondo i relatori è chiaro: sono gli influencer, quei nodi di rete che hanno un numero di contatti significativo che possono determinare non più la produzione di informazione ma la sua trasmissione, hub umani che gestiscono centinaia di contatti/relazioni. Lo spiega il fisico Baràbasi durante la sua lectio magistralis, portando gli esempi di tutte le strutture reticolari presenti in natura, le cui leggi di funzionamento non sono affidate al caso ma ad algoritmi precisi che non siamo in grado, ci scuserà chi legge, di riportare.

Il rischio, paventato durante la relazione introduttiva di Iorio, è che i meccanismi di comunicazione che fanno funzionare la rete, possano essere utilizzati anche a insaputa dei cittadini, per vendere uno shampoo o per insegnarci ad odiare i rom (per esempio).

Mentre l’evento inaugurale va avanti, sullo schermo di sfondo scorrono i twit che hanno per tema il Public Camp. Dai loro tablet, da i loro smart phone, gli studenti di comunicazione e gli addetti ai lavori, commentano gli interventi in diretta. In tipico stile 2.0.

La posta in gioco è il rapporto tra istituzioni e cittadini, tra pubblico e privato, tra democrazia e dittatura. Capire come funziona permette di prendere delle contromisure, attraverso strumenti tattici che, superandolo, sono la naturale evoluzione del mediattivismo degli anni novanta. Non Indymedia, quindi, ma “cavalli di Troia” che diffondano buoni significati. Capire come funziona è indispensabile anche perché quello che accade accada all’interno delle regole della società democratica. Nell’infinita produzione di micro narrazioni attraverso i social media, che mettono noi al centro del racconto, è fondamentale che gli obiettivi siano chiari per tutti, perché la trasparenza (dell’obiettivo, non come obiettivo) è requisito fondamentale della democrazia.

In un altro campo, in un’altra storia, Di Lernia, antropologo medico, parlando del rapporto tra chi cura e chi è curato dice che il potere è necessario affinchè possa essere combattuto lo stato di malessere, ma le regole tra paziente e medico devono essere chiare, concordate, trasparenti. Altrimenti il potere muta la sua forma e diventa dominio.

 

“Giù le mani dall’asino di Martina Franca”

Grande scalpore hanno suscitato le vicende dei quasi duecento asini custoditi a Masseria Russoli, ma forse ci sono altri interessi dietro tanta premura equina

La maestra delle elementari ci faceva tagliare del cartoncino e con questo facevamo un cono e due orecchie lunghe da appiccicare sopra. Era il cappello del ciuco, dell’asino, che si doveva mettere in testa l’ultimo della classe. Non è un bel ricordo, risveglia antichi timori, quello di non essere adeguato, pronto, intelligente. Vedendo gli asini della masseria Russoli, in una soleggiata mattinata di marzo, sono stati questi i primi pensieri venuti in mente. Guardare questi animali che da settimane hanno scatenato un’accesa bagarre politica a Martina Franca, con il coinvolgimento nientepopodimenochè di Striscia la Notizia, mi ha fatto pensare ai tempi della scuola, in cui essere “ciuccio” era un problema. Ora invece su internet e sui giornali, si fa a gara per dimostrare chi è più amico dell’orecchiuto animale.

Quello che sta accadendo, in sintesi, è che il centro di salvaguardia dell’asino martinese, presso la masseria Russoli, non si capisce da chi deve essere gestito, la Regione pare faccia orecchie da mercante e intorno iniziano a girare i soliti avvoltoi pronti a cibarsi dei cadaveri. Nel 2005 la Giunta Regionale decide di non rinnovare la convenzione che da dieci anni dava al Corpo Forestale la gestione della struttura. Durante questo tempo la Forestale affidava il controllo e la cura degli animali a una coppia di custodi e ad alcuni operai. Essi garantivano che tutto si svolgesse per il meglio e la Forestale nel frattempo provvedeva ai lavori di restauri e di mantenimento della struttura. Nel 2007 scade l’ultima convenzione, gli operai tornano a casa e alla masseria rimane solo la coppia di custodi, che nel centro, appunto, abitava. La Regione decide allora di dare al Centro Incremento Ippico di Foggia la cura della Masseria, ma non si esprime sulle sorti dei due custodi che, per legge, sarebbero dovuti passare automaticamente alla cooperativa di Foggia. Questo stava per accadere, se non fosse che, il signor Marangi, in attesa di risposte dalla Regione, si era rivolto all’avvocato Terrulli, che gli aveva consigliato di non accettare la proposta di assunzione, seppur di tre mesi, fatta dalla cooperativa. Quindi scoppia il caso: l’avvocato chiama i giornalisti, che giustamente si avventano sull’osso riportando quanto stava accadendo. Insieme a loro si avvicina al caso, paladino di giustizia, il consigliere comunale Paolo D’Arcangelo, facendo sua la questione. Viene tirata in ballo la Regione che, senza alcun rimorso, preferisce far morire gli asini invece che occuparsi della faccenda. Nel frattempo i due operai che lavoravano lì hanno perso il posto e il custode e la moglie rischiano di essere sfrattati e, come a suggellare il momento di crisi della questione, un asino decide di morire impantanato nel fango. In un’interrogazione consiliare fatta da Nino Marmo di AN, l’assessore Russo risponde che l’asino sia morto di vecchiaia, mentre secondo i veterinari è morto di polmonite causata dal grande freddo che faceva in quel periodo. Non solo, ma l’assessore dice che la vicenda è stata montata ad arte. La domanda è da chi e per quale motivo.

Se lasciamo un attimo da parte la strumentalizzazione politica da parte di qualche consigliere comunale, la vicenda appare abbastanza ingarbugliata: la masseria fa gola a molti e che la Regione si riservi il ruolo di gestirla crea problemi. Senza nulla togliere alla vicenda in sé, cioè che la mancanza di manodopera mette a dura prova l’esistenza della comunità asinina, gestire un posto del genere significa poter accedere a una quota cospicua di soldi pubblici. Nel frattempo, a parte il gruppo nato su Facebook che domenica organizza in piazza una raccolta firme per chiedere, in soldoni, che la gestione della masseria passi dal pubblico al privato, su internet ci sono alcuni forum tematici in cui ci sono notizie più concrete. In una dichiarazione rilasciata da D’Arcangelo a Cronache Martinesi, si legge che sarebbe stato meglio affidare Russoli e gli asini a chi non avrebbe permesso loro il deperimento. Interpellato sull’argomento, dice di non avere nessuno di preciso in mente, ma che sarebbe meglio una società privata. I nomi possiamo provare a farli noi: il primo è Onos, una società con sede a Palagiano che si occupa di commercio di latte di asina, con cui, nel 2007 il comune di Crispiano aveva stipulato un protocollo di intesa per un non specificato programma di interesse collettivo alla masseria Russoli. Il secondo nome è quello dell’ Associazione Nazionale Allevatori del Cavallo delle Murge e dell’Asino di Martina Franca, che si dice disposta ad appropriarsi del centro e che, fondamentalmente, la gestione che avveniva fino a pochi anni fa era migliore: gli allevatori avevano in comodato d’uso le fattrici e poi potevano tenersi i puledri. Se proviamo a tirare le fila della vicenda abbiamo da un lato una comunità di asini che non può essere gestita da due sole persone e dall’altro invece alcuni avvoltoi pronti a cibarsi dell’osso. Ma per farlo, la Regione deve farsi da parte, deve essere spinta a lasciare. In questo interviene la stampa e Striscia la Notizia, che non fa altro che alzare il polverone, per nascondere meglio il volo degli avvoltoi che si fa sempre più basso che, naturalmente, non hanno alcun interesse ad inimicarsi l’ente pubblico. A questo punto, ci chiediamo, a chi si riferisca realmente il nome del gruppo nato su Facebook “Giù le mani dall’asino di Martina Franca”.

Arrivati alla masseria, un gruppo dei 181 asini ospiti, pascolavano placidamente nell’erba tagliata di fresco, alcuni stesi a sonnecchiare e altri invece a mangiare i germogli degli ulivi. Alla vista del cronista e della macchina fotografica, sono scappati impauriti, segno questo che tutto l’interesse suscitato dalla vicenda, li ha infastiditi un po’.