Schiacciante vittoria di Vendola alle primarie. In Puglia si caccia la Volpe…

I dati non sono ancora certi, ma le percentuali con cui Vendola batte Boccia sono intorno al 70%. Un risultato significativo, che arriva dopo due mesi di bagarre politico-mediatica intorno al nome del candidato del centrosinistra alla presidenza della Puglia. Un risultato che può essere letto da diverse angolazioni, ma che nella sostanza dimostra una cosa: il popolo non si fa imbrigliare.

Ricordando quello accaduto a Taranto alle scorse amministrative, quando il centro sinistra si spaccò in due per l’incapacità di accettare Stefàno come candidato unitario, niente garantisce che non accadrà la stessa cosa a queste regionali. La posta in gioco è alta, i milioni della sanità, dell’AQP, delle energie alternative, delle centrali nucleari… Abbiamo, in più, il precedente di Mottola, comune tarantino, in cui Gentile (PRC) stravinse le primarie dell’Unione, ma non fu votato. Da una parte la gente che vive, lavora, si sbatte, e subisce, nel bene e nel male le scelte dei decisori, dall’altra i decisori, che hanno obiettivi diversi da quelli dell’operaio, dello studente, del commerciante. Obiettivi che è impossibile palesarli e, per questa divergenza, vengono costruite narrazioni poco verosimili di scenari politici e Sante Alleanze. Laboratorio Puglia: l’eugenetica della politica…

Nel frattempo Vendola stravince, distrugge, schiaccia Boccia, sconfitto già cinque anni fa, ma riproposto di nuovo. Il risultato, come accennavo all’inizio, dimostra l’incapacità delle nomenklature politiche, dirigenze romane, che il popolo ha una testa pensante e la capacità di discernere e quindi, dato il risultato, che le dirigenze non rappresentano la base. Quello accaduto in Puglia oggi, è la dimostrazione che i partiti di cartello o i partiti di apparato sono solo costruzioni teoriche basate sulla vacuità del termine democrazia, che trattano la volontà delle persone, e la loro capacità o libertà di scelta, come semplice variabile. A questo punto ci si deve chiedere cosa pensava D’Alema quando ha fatto muro contro la ricandidatura di Vendola. Cosa pensava la dirigenza PD pugliese, troppo spesso appiattita sulla volontà del Grande Inciuciatore quando palesemente andava contro le scelte democratiche della gente? Servivano le primarie per dimostrare quanto Vendola sia voluto in Puglia? O bastava l’assemblea barese che si era apertamente schierata contro la scelta di Emiliano? E soprattutto, se fossi, e garantisco che non lo sono, iscritto PD, mi sentirei profondamente offeso, perchè la mia volontà non è stata per nulla tenuta in considerazione.

Le primarie pugliesi, di nuovo, come 5 anni fa, dimostrano che le scelte del popolo spesso sono in controtendenza con quella dei dirigenti dei partiti, e questo significa che il meglio per le segreterie non corrisponde al meglio per i territori. A che vale gridare ai quattro venti “bisogna ritornare sul territorio” quando alla prima occasione si fa il contrario?

Domande…

In tutto questo non è scritto che Vendola ha dato alla Puglia  5 anni di (quasi) buona vita. Ma questo, davvero, lo do per scontato…

FLORIDO VINCE: GOVERNARE CON LA TESTA O GOVERNARE CON LA DESTRA?

L’asse D’Alema – Casini mostra i primi risultati: allearsi con la destra per sconfiggere le destre.

Florido ha mantenuto il controllo della Provincia. Per farlo ha dovuto, al secondo turno, allargare la propria coalizione a Fisicaro e a Stefàno e a pezzi del gruppo che sosteneva Tarantino. Ha realizzato, con questo schema, quel “laboratorio” scaturito dall’asse D’Alema – Casini, una sorta di fronte democratico contro la deriva berlusconiana della società, e ha dimostrato che l’alleanza di tutti i partiti in funzione anti PdL funziona. Cioè, il gruppo eterogeneo di simboli e personaggi riesce a prendere più voti che i partiti della maggioranza di Roma. Il genio di D’Alema però sembra sprecato in quest’operazione, dato che sarebbe bastato fare una semplice somma delle percentuali delle singole sigle per capire che Berlusconi e i suoi in Italia hanno tutto fuorchè la maggioranza. La scommessa di questo “laboratorio”, che vince  anche a Bari città, si basa essenzialmente nel creare una sorta di gramsciano “blocco democratico” per contrastare l’avanzata delle destre populiste e autoritarie.

Della bontà del progetto, del suo nobile fine, non si hanno dubbi: il CLN metteva insieme democristiani e comunisti, oltreché liberali e repubblicani, riuscendo infine a scacciare i fascisti, ma sul fondo giace una forte differenza tra il ’43 e il 2009. Nel secolo scorso la crisi dello stato di diritto era fortemente sentita, accentuata dall’entrata in una guerra suicida al fianco di un dittatore sanguinario. Gli italiani erano sì disperati, ma erano anche educati attraverso sotterfugi ai divieti di parlare di politica da parte del regime a raggrupparsi, a pensare collettivi ad essere comunità. Ora invece, grazie alla parcellizzazione della società che sostituisce la playstation alla sala giochi, internet ai circoli di partito, la sensibilizzazione delle masse è difficile e la creazione di un reale fronte democratico è un’impresa ardua. L’operazione Florido, in cui dalla sera alla mattina affianco delle falci e martello c’erano scudi crociati ed ex della Fiamma Tricolore, non sembra basarsi su una reale discussione politica che mette alla base del compromesso il male minore, ma ha l’aria di essere una mera addizione di cifre per mantenere il sedere sulle poltrone. Che questo poi significhi evitare di consegnare la Provincia a Fitto e ai suoi, diventa conseguenza e non fine. Pare. Stando alle dichiarazioni dei diretti interessati non è così. Pasquale Lasorsa, consigliere comunale di Martina, candidato nella lista Io Sud, un passato alla destra di AN, e un primo turno alle provinciali a fianco di Cito, schierarsi con Florido è: «La scelta migliore, dato che a livello locale le ideologie del novecento possono essere messe da parte in nome del bene comune. È ovvio che non era possibile appoggiare una coalizione che comprende i diretti responsabili del dissesto di Taranto e della situazione squallida in cui versa Martina Franca». L’alleanza in nome del buongoverno, che mette da parte le differenze per lavorare insieme al bene comune. Ma quale? È impossibile pensare che non ci siano differenze tra il piano regolatore pensato dalla corporazione degli imprenditori edili da quello degli ambientalisti. Ed è solo un esempio. Non vorremmo essere nei panni di Florido quando dovrà nominare gli assessori.

Francesco Brigati, di Rifondazione Comunista, che ha scelto dopo l’ingresso dell’Udc e di Io Sud di passare all’opposizione, fa un’analisi diversa della questione, partendo dalla pratica attuata per l’apparentamento: «Noi non eravamo per niente d’accordo all’entrata dell’Udc nella coalizione, lo abbiamo ripetuto fin dalle prime riunioni. Ma nonostante la lealtà dimostrata a Florido e alla coalizione, la notizia dell’apparentamento ci viene comunicata a cose già fatte. Questo dimostra che l’alleanza non è in base a convergenze politiche, ma è un gioco di potere per mantenere le poltrone»

Il gioco di potere sarebbe stato quello di fare un’iniezione di destra in un centro sinistra che non riesce a vincere, appesantito da un PD che non sa se è pesce o carne, e dai piccoli feudi personali da difendere ad ogni costo. Un’iniezione che lungi dall’essere vaccino contro l’avanzata delle destre, somministrando un poco di esse per creare anticorpi, si dimostrerà invece una diffusione dei loro antigeni.

Da quaggiù invece, il dato più allarmante rimane comunque l’astensionismo, fortissimo e ormai in ascesa, che dimostra il disagio dei cittadini, di chi non è ricattato, di chi non è fortemente ideologizzato, di non sentirsi più rappresentato da nessun partito, da nessuna coalizione, da nessun politico. È l’altro lato della medaglia che vuole che i politici siano solo buoni amministratori, burocrati imperiali, impiegati di sportello del sistema e dall’altro la massa critica dei cittadini che, avendo già capito questo, non si scapicollano per andare a votare chi avrà solo il compito di firmare e timbrare fogli. È la cancrena di un regime che si sta afflosciando sulle sue stesse regole. L’astensionismo, il disagio dei cittadini di cui è campanello d’allarme, pretende altre forme di partecipazione, più libere, democratiche, che facciano diventare le esigenze territoriali non già argomenti scontati sull’ampiezza di una strada ma discussioni sul futuro dei territori.

I cittadini sono più avanti, e si stanno iniziando a stancare di aspettare che i propri rappresentanti li raggiungano.