E adesso chi lo cuce il mantello di San Martino?

Manifestazione degli operai tessili a Martina Franca per chiedere alla città un sostegno e maggiore attenzione da parte degli amministratori

Un anno fa l’assessore alle attività produttive del Comune di Martina Franca, sentita sulla crisi tremenda in cui versava il settore a causa del collasso dell’economia globale, rispose che della crisi ne aveva sentito parlare, e che aveva in mente di organizzare al più presto un incontro con Confindustria. Nel frattempo però nella città circa 3000 lavoratori avevano perso il lavoro, o lo stavano perdendo, o comunque iniziavano a sentire puzza di cadavere. In un anno di lavoro sulla questione tessile non è stata spesa una parola che sia una da parte non solo degli amministratori locali, ma anche da parte di quell’opposizione che è stata sempre pronta a cavalcare gli asini, il piano carburanti e per un attimo, abbiamo temuto, anche il virus H1N1… Senza contare il PD, assente da se stesso dalla sua nascita, a Martina in particolare, ma che ci auguriamo partecipi numeroso mercoledì 11, se non altro per dare un sussulto all’encefalogramma.

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Il manifesto dell'iniziativa

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Martina Franca: per la consulta l’assessore chiede aiuto ai clan

A Martina il Clan della Stretta è all’opera per la formazione della consulta giovanile

A Martina Franca un assessore comunale si è rivolto ad un clan attivo nella zona per portare avanti un’operazione politica di non poco impatto sociale: la creazione di un organo di proposizione e controllo dell’operato dell’amministrazione comunale. L’idea, pare, rimbalzasse nella mente di Mario Caroli già da qualche tempo, ma per realizzarla è servito aspettare l’adesione di uno dei tre clan martinesi che, già dall’anno scorso, si è occupato di politica e di cittadinanza attiva. Non è una stranezza che un clan si interessi di cosa pubblica, è noto, ma questa volta l’esperienza maturata in anni di scoutismo, all’insegna dell’impegno civile e sociale, può essere tradotta praticamente con la formazione di una struttura istituzionale aperta a tutti i ragazzi dai 15 ai trent’anni di Martina Franca, che hanno voglia di partecipare. Ma perché un’idea del genere, presente in tantissimi comuni italiani tra cui, uno vicinissimo a noi, a Putignano, possa funzionare, è necessario che l’azione parta dal basso, dai ragazzi appunto, anche se sponsorizzati da un amministratore. E il Clan della Stretta, del gruppo scout Martina Franca 3, in seguito ad un lavoro durato un anno sulla cittadinanza attiva, ha deciso di concretizzare il proprio impegno nella vita politica martinese, raccogliendo la sfida della creazione della Consulta Giovanile. E affinché non appaia strano che un’associazione come gli scout si occupi di politica è bene sottolineare che, in questo caso, non si tratta di beghe partitiche ma di partecipazione attiva alla vita della comunità, a cui tutti, in qualche modo, sono chiamati. E di cui tanti sentono la mancanza, sia perché il sistema attuale rende più difficile l’impegno concreto slegato da questioni elettorali, sia perché l’impegno politico è ormai delegittimato da chi lo mette in pratica, paradossalmente, badando spesso palesemente ai propri affari e poco alla res publica. Da questo la convinzione da parte dei cittadini che impegnarsi è inutile, della serie: «Tanto a che serve?».

I ragazzi degli scout però la pensano diversamente: la loro attività si basa sul servizio e la politica è la forma più alta di servizio. Così, spinti da Caroli, venerdì scorso hanno fatto la prima riunione organizzativa, con le realtà a loro più vicine, gli altri gruppi scout martinesi, l’associazione Partiti a Parte (che comunque è un’altra bella esperienza partita dagli scout) e un paio di rappresentanti della Consulta Vicariale, oltre naturalmente all’assessore. Assente giustificato l’Arci, impegnato quel giorno, ma che ha fornito ai ragazzi un censimento delle associazioni fatto a suo tempo dal Comune, ma che promette di essere sempre presente dalla prossima volta. L’elenco però, a quanto ci racconta uno dei capiclan, non è completo e non fornisce recapiti concreti. Un modo come un altro per sottolineare quello che si sa già, ovvero la mancanza di apertura dell’amministrazione nei confronti della partecipazione dei cittadini, che a lungo andare ha fatto assumere a Palazzo Ducale le sembianze di casa Addams, con i suoi misteri e i suoi segreti.

Per rompere il circolo vizioso cittadini poco attenti – politici inadempienti, Caroli spera che la Consulta venga fatta in tempi ragionevoli dato che, secondo lui, è il momento di avvicinare i giovani alla politica dando loro la possibilità di esprimersi in spazi istituzionalizzati, non solo in occasioni estemporanee. Ma non solo, dato che la Consulta Giovanile, come è concepita negli altri comuni, diventa un organo di controllo dell’operato del Consiglio comunale maggiore, poichè la voce di qualche decina di ragazzi vale sicuramente di più di un comunicato stampa dell’assessore di turno. «I giovani devono essere il soggetto della politica e non più l’oggetto» ci dice Caroli «e per questo c’è bisogno che le scuole, i partiti, le associazioni e tutte le organizzazioni si rendano conto della portata di questa possibilità».

I ragazzi del Clan della Stretta, che ci tengono a precisare che la Consulta non è un’iniziativa esclusivamente scoutistica e di cui faranno parte nella stessa misura di tutti gli altri soggetti, stanno organizzando un secondo, più importante incontro. Nel frattempo però, per aderire  senza aspettare di essere invitato, basta mandare una mail all’Assessorato alle Politiche Giovanili: asspol.giovanili@libero.it

È peggio essere Rom, omosessuali o disabili?

Presentata a Reggio Emilia una ricerca svolta tra gli adolescenti pugliesi. Tutt’altro che confortanti i risultati.

Un gruppo di antropologi, pedagoghi, formatori, studiosi del linguaggio e della comunicazione, tra cui il martinese Alberto Fornasari, hanno per un anno indagato un campione di adolescenti italiani, approfondendo le paure e le aspettative di una fetta di popolazione italiana che, secondo i dati dell’Eurobarometro, è quella che più si sente esclusa dalla società. Il venti per cento, dicono i dati, che sono simili a quelli della Bulgaria. Il campione della ricerca, scelto in base ai dati della presenza di migranti e agli indici di integrazione del V Rapporto CNEL ha compreso anche le quarte classi di quattro scuole pugliesi, due licei e due istituti professionali, a Bari e a Lecce.

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“Il sazio non conosce la fame”

A Grottaglie la festa per la fine del Ramadam occasione di incontro e integrazione.

GROTTAGLIE – Hiba sorride orgogliosa mentre posa il piatto sulla tavola apparecchiata. Il tutbia, il riso con mandorle tostate, uva passa e carne non solo ha un buon sapore, ma è bella anche la presentazione: sembra una montagna caramellata di pinoli. Tra i tavoli pieni di gente nella piazzetta davanti al centro Passi di Donna di Grottagle, il riso di Hiba sta spopolando: c’è un andirivieni fitto di persone che fanno la spola tra la tavola e la propria sedia.

Un momento della festa

Un momento della festa

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Giuseppe Chiarelli, tra libri, lezioni e il futuro di Martina Franca

Ha fatto arrivare l’università a Martina, ha messo d’accordo i comuni della Valle d’Itria per il riconoscimento Unesco, ma appare poco sui giornali. Chi è e cosa fa l’assessore più attivo di palazzo ducale.

Nell’ormai storica conferenza stampa di Giovanni Marangi, in seguito al mancato svolgimento della Ghironda a Martina Franca, l’indignato imprenditore culturale graziò dalle colpe dell’amministrazione solo l’assessore Chiarelli. Pochi giorni prima, in un’intervista rilasciata a chi scrive, il prof Fornasari dell’Università di Bari riconosceva nell’operato di Chiarelli, un ruolo fondamentale per il riconoscimento di Martina come sede universitaria. Abituati a sentire peste e corna su chi amministra la città, abbiamo deciso di andare direttamente alla fonte per capirne di più.

Giuseppe Chiarelli nel suo studio

Giuseppe Chiarelli nel suo studio

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Riforma Gelmini: 250 posti in meno solo in provincia di Taranto

Un giro nelle scuole di Martina Franca conferma il momento di affanno della scuola pubblica

Questi signori hanno dato 500 milioni di euro all’Alitalia e li hanno tolti dalla scuola!”. Esordisce così un segretario di una scuola di Martina Franca quando poniamo la domanda sulla variazione di organico dovuta alla riforma Gelmini – Tremonti, una riforma che in tutta Italia sta scatenando un putiferio di proteste da parte dei precari, sia insegnanti che personale tecnico e amministrativo. La riforma, che prevede un periodo di attuazione di tre anni, ha come obiettivo la razionalizzazione dei costi, troppo elevati secondo il governo, della scuola pubblica che viene definita dalla maggioranza al potere come “un grande ammortizzatore sociale”. Un ammortizzatore senza ammortizzatori, come ci fanno sapere nelle scuole e come conferma Anna Santoro della CGIL-Scuola di Taranto: «Rispetto agli altri lavoratori, come dell’industria, che possono usufruire di cassa integrazione ordinaria e straordinaria e via dicendo, i lavoratori della scuola non risultano licenziati, perché accedono ai posti di lavoro tramite graduatorie. Fortunatamente la Regione Puglia ha stanziato 22 milioni di euro per sopperire a questa situazione, come integrazione di un salario più basso, tentando di mantenere lo stesso ruolo, nell’ottica di preservare la dignità del lavoratore».  Il totale dei posti persi in Italia è di 42 mila, tra docenti e personale ATA, a Taranto in particolare sono 250, secondo i dati della CGIL: «A questi bisogna aggiungere coloro che andranno ad occupare i posti di chi sta più giù nelle graduatorie, ma non abbiamo dati concreti per adesso, considerando soprattutto che la riforma è triennale: quest’anno è intervenuta sulla scuola elementare e media, ma l’anno venturo ci saranno altri tagli» continua la Santoro.

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Dai cappottari all’università

La vocazione tessile della città si è evoluta: a Ottobre parte il corso di Laurea in Scienze e Tecnologie della Moda. Un’occasione per riflettere su un settore in declino.

(pubblicato su Extramagazine del 4/9/2009)

Il corso di laurea in Scienze e Tecnologie della Moda approda a Martina Franca, dopo aver battuto in velocità Barletta e gli altri comuni del nord barese. E quale altro poteva essere l’indirizzo di studi se non quello che da decenni caratterizza a livello industriale il nostro territorio? I cappottari, le confezioni, gli abiti, prodotti che da sempre costituiscono il fiore all’occhiello della produzione martinese, diventano oggetto di studi da parte di un corso interfacoltà (Scienze della Formazione, Economia, Giurisprudenza, Lettere e Filosofia, Scienze Matematiche ,Fisiche e naturali) dell’Università di Bari.

Le lezioni si terranno momentaneamente presso un’ala dell’Itis Majorana, in attesa che la sede definitiva, il Centro Servizi per il Tessile in piazza D’Angiò, sia pronta. «Il Majorana è stato scelto per motivi logistici» ci spiega il dottor Fornasari docente di Pedagogia Sociale e Interculturale, già assessore di una delle giunte tecniche di Palazzo, che ha seguito passo passo l’apertura del corso per conto del Preside Laneve, «è facilmente raggiungibile dalla stazione ed è servito dai mezzi pubblici. Considerando che in totale servono due aule e una stanza che faccia da segreteria, per un totale di 150 mq, lo spazio è sufficiente. I laboratori previsti si svolgeranno all’esterno, presso alcune aziende che già ci hanno dato disponibilità. E non sono solo aziende di Martina, ma anche di Locorotondo».

Secondo Fornasari, l’apertura del corso rappresenta: «un evento che si riallaccia alla tradizione locale, permettendo da un lato di poter accrescere il patrimonio di conoscenza dell’imprenditoria e dall’altro di fornire uno sbocco professionale a chi si accosta al mondo della moda. Le materie di studio passeranno dalla chimica dei tessuti al marketing, permettendo agli studenti di seguire ogni passaggio della produzione degli abiti, partecipando con cognizione ai processi produttivi. Il comune di Martina Franca, capendo immediatamente la grande opportunità, si è attivato, attingendo ai fondi dell’Area Vasta per rendere agibile la sede definitiva, il Centro Servizi per il Tessile. È notevole il contributo dato dall’assessore comunale Giuseppe Chiarelli che ha fatto da coordinatore e si è battuto molto per non perdere l’opportunità».

Il prof. Alberto Fornasari

Il prof. Alberto Fornasari

La partenza del corso è prevista per ottobre, ma finora le iscrizioni al primo anno sono state scarse: «A voler essere chiari, non importa il numero degli iscritti al primo anno» continua Fornasari «dato che il corso non è nuovo, ha solo un’altra sede. Se facciamo la somma degli iscritti al secondo e al terzo anno, abbiamo un totale di circa novanta studenti che verranno a Martina all’università»

L’accoglienza data al corso universitario dal Comune di Martina, non si esprimerà solo a parole. Il ruolo che spetta all’amministrazione, oltre a quello di coordinare le istanze dell’Università di Bari con gli imprenditori locali e risolvere i problemi degli studenti (trasporti, spazi riservati allo studio, alloggi per chi è fuorisede), sarà quello di contribuire economicamente, secondo gli impegni presi, affinchè la sede presso il Centro Servizi sia ultimata il più presto possibile. Certo i soldi saranno presi dai capitoli dell’Area Vasta, ma il fatto di essere stati sensibili verso l’università, dimostra uno spiraglio di luce nella storia di un’amministrazione poco attenta alle esigenze della comunità locale. L’apertura del corso di laurea sulla moda a Martina potrebbe essere l’inizio del rilancio di un settore, quello tessile, che da anni rotola in declino e che da qualche mese subisce l’aggressione violenta della crisi economica: secondo Giuseppe Massafra, della Filtea-Cgil, l’apertura del corso potrebbe essere utile per mettere in atto tutte le strategie possibili per rilanciare il settore, fornendo agli imprenditori gli strumenti per potersi presentare sul mercato internazionale più competitivi. Finora l’amministrazione, nonostante sia stata richiamata ai suoi doveri dalle forze sindacali e da Confindustria, non ha messo in atto nessuna significativa iniziativa per contrastare il poderoso aumento dei disoccupati e la chiusura di metà delle aziende tessili presenti sul territorio. Il corso di laurea, lungi dall’essere un modo per risolvere la crisi, fornirà da un lato il naturale sbocco formativo per le scuole professionali locali e, dall’altro, la possibilità svecchiare un settore in disfacimento.

Il sindacato sta in campagna

Il fenomeno della raccolta del pomodoro e la campagna Oro Rosso della Flai – Cgil

(le foto sono disponibili qui)

La  Flai – Cgil batte la campagna foggiana palmo a palmo. La campagna “Oro Rosso” è ormai al nono giorno e con i paesaggi del Tavoliere ormai c’è una certa confidenza: le strade si intersecano ad angolo retto e, a parte il Gargano di paesini e santuari, i paesaggi sono piatti fino all’orizzonte, una distesa di campi e latifondi e lavoratori piegati. La delegazione sindacale è numerosa, per questo è divisa in due gruppi. La nostra colonna è guidata dal capolega Flai di San Severo e da alcuni militanti della stessa città: l’Opel si muove nelle strade di campagna zigzagando per evitare le buche e dal finestrino sventola orgogliosa la bandiera rossa della categoria. La prima sosta è ad una fermata autobus dove almeno quaranta ragazzi africani aspettano il passaggio per andare a Foggia a cercare lavoro. Siamo in aperta campagna, tra il capoluogo e San Severo. I ragazzi si sorprendono un po’ nel vedere una ventina di persone scendere dalle auto e avvicinarsi sicuri verso di loro, si guardano perplessi e impauriti. Ma si iniziano a distribuire cappellini per proteggersi dal sole, volantini in tutte le lingue dove si spiega quanto dovrebbero guadagnare al giorno secondo il contratto nazionale, quali sono i loro diritti, cos’è la Cgil. E non si dà nulla per scontato. Molti di loro vengono direttamente dai campi di identificazione ed espulsione, da Lampedusa. Catapultati nell’Italia estiva, afosa e repressiva, con i loro compagni si sono uniti alle decine di migliaia che lavorano ai pomodori. Un ragazzo parla francese e inglese, niente italiano. E si lamenta, ci dice, di non aver incontrato nessun italiano con cui poter comunicare in quelle lingue. Ci parla a lungo, si lamenta della paga, delle condizioni.

Arriva il pullman che li porterà a Foggia, senza dire una parola salgono, sollevati che la promiscuità col sindacato più grande d’Italia, e più fastidioso, per i padroni, sia finita.

In macchina, con Daniele Calamita, segretario Flai di Foggia, Lello Saracino, Tesfai Zemariam e Vito Di Bari, si discute naturalmente del caporalato, dell’iniziativa della Flai che quest’anno è alla terza edizione e che ha avuto l’appoggio della categoria e della Cgil regionale e nazionale. «Il problema è che la legge regionale sul lavoro nero non viene applicata» ci dice Lello Saracino della Cgil di Foggia «se lo fosse, il problema in gran parte si risolverebbe. È una legge che introduce l’indice di congruità, un concetto semplice ma molto efficace, soprattutto per l’edilizia e per l’agricoltura. Si fa una stima del tempo e del luogo dove si deve svolgere il lavoro e poi si quantifica il minimo di addetti necessari. Se ad esempio si devono raccogliere cento ettari di pomodori in dieci giorni, è chiaro che non posso assumere solo tre persone. Le associazioni datoriali, come Cia e Coldiretti si sono messi di traverso e la legge non viene applicata».

Nel frattempo autoarticolati carichi di cassoni vuoti ci superano, siamo nel pieno della raccolta dei pomodori e si vede.

La carovana si ferma in una grande casa bianca, mezza sembra un ufficio e mezza un’abitazione. Si vedono alcune persone in procinto di andarsene, nello spiazzo davanti un grosso camion pieno di cassoni vuoti. I delegati si avvicinano, chiacchierano e distribuiscono volantini e cappellini. Il padrone, italiano, pare abbastanza cordiale, ci racconta cosa fa e quali sono i suoi problemi. Il punto della questione è chi davvero si arricchisce dall’agricoltura, da dove viene il rincaro che permette ad un chilo di pomodori di passare da dieci centesimi per il produttore all’euro del consumatore. Poi si parla del lavoro degli immigrati e delle loro condizioni. L’italiano ci racconta che ospita i rumeni che lavorano per lui nei campi. Ma ha problemi, ci dice, la legge non lo aiuta: non capisce perché non può portare otto persone nella macchina. Dietro di lui infatti si sta consumando il grottesco spettacolo di otto persone che si ficcano in una vecchia station wagon bianca della Fiat a cui sono stati tolti i sedili posteriori. Otto persone schiacciate nel caldo dell’agosto pugliese, in un’auto che finge di essere un furgone. Tesfai Zemariam, il responsabile regionale per immigrazione della Cgil, interviene proponendo la ragionevole soluzione di fare più viaggi, invece che uno solo. La discussione degenera, perché si tirano in ballo le regolarità dei loro contratti lavorativi e le condizioni in cui lavorano. L’italiano allora decide che è arrivato il momento di mandarci a quel paese, ma in testa gli rimane il cappellino rosso della Flai “stesso sangue stessi diritti”.

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Secondo Felice di Lernia, presidente della Coop Sociale “Comunità Oasi2 San Francesco” di Trani, che da anni è sulle strade della provincia foggiana per conto della Regione Puglia nell’ambito del progetto “Le città invisibili”, le presenze quest’anno sembrano raddoppiate. «Il motivo principale è la crisi economica. Le fabbriche del nord che chiudono costringono migliaia di persone a scendere in Puglia d’estate a lavorare nelle campagne, ma il lavoro diventa sempre di meno anche qui in Puglia, a causa dell’avvento delle macchine. Le persone che contattiamo ci dicono che il momento migliore per lavorare è quando piove, perché il fango impedisce alle macchine di muoversi».

Intanto ci fermiamo in contrada Cicerone, vicino ad una chiesetta sconsacrata, ultima costruzione di una fila di case dell’Opera Nazionale Combattenti, uno strumento un tentativo fascista di urbanizzare le campagne. Ci sono un gruppo di ragazzi che oggi non lavorano. Invitano la delegazione sindacale a fare un giro. Dormono, alcuni in tenda, altri all’aperto e dal numero di indumenti appesi nel grosso stanzone che fa da tetto comune, le persone che incontriamo non devono essere che la minima parte di tutte quelle abitano lì. Su una panchina c’è una scacchiera e dei tappi di bottiglia rosa e rossi che fanno da pedine. Fuori, verso la strada, ci sono alcuni bagni chimici messi dal comune e tre enormi botti per l’acqua potabile. Vuote. Come lo è la chiesa, alta grande e fresca, ma che per rispetto, ci dicono, non viene utilizzata. Poco più avanti un imprenditore italiano chiacchiera dalla sua BMW con un ragazzo africano. Alle sue spalle una casa dell’ONC affollata di persone che anche oggi non hanno lavorato. Alla vista della Cgil, l’imprenditore inizia a ripetere la solita cantilena: crisi, agricoltura, costo all’ingrosso, costi al dettaglio, le paghe basse sono necessità. Massimo sei euro a cassone, da tre quintali, da cui si detraggono le spese per lo spostamento dovute al caporale.

Una storia che è diventata quasi parte integrante della narrazione pugliese, il mare del Salento, i trulli della Valle d’Itria e la raccolta dei pomodori a Foggia. Un fenomeno che secondo alcuni operatori sociali andrebbe analizzato anche al di là delle categorie con cui si è soliti riflettere del problema. La raccolta dei pomodori, vetrina di un fenomeno che dura tutto l’anno e in diverse località d’Italia, è il simbolo dello sfruttamento ma racchiude un mondo che probabilmente si evolve secondo altre metriche da quelle classiche. Un fenomeno che da qualche anno ha stimolato positivamente tutti i soggetti tenuti ad occuparsi della questione, enti locali, privato sociale e forze sindacali, ma che nonostante gli sforzi rimane abnorme. Forse la sinergia tra i soggetti operanti sul territorio andrebbe implementata, favorendo il passaggio di buone prassi e di contenuti, e lo scambio di esperienze. Che rimane comunque sentito da tutta la Cgil: basti pensare che all’operazione Oro Rosso partecipavano delegati da 18 regioni, da Bolzano alla Sardegna. Una delegazione che in dieci giorni ha percorso 8000 km, ha contattato quasi 5000 persone e visitato 150 aziende agricole.


La risposta della sovrintendenza e il comunicato originale della General Trade

Aggiornamento del caso PDCI – Cassano – Padre Pio (non necessariamente in quest’ordine)

La sovrintendenza dei Beni Culturali della Provincia di Taranto, attraverso l’archittetto Resta, sostiene che da parte loro non c’è stato nessun pronunciamento per la nuova statua perchè hanno chiesto al Comune il relativo progetto che ancora non è arrivato. Nel frattempo il Comune ha deciso di piazzare il Santo con tutto quello che poi è successo…

Grazie all’amico Ottavio Cristofaro, possiamo pubblicare interamente il comunicato stampa prodotto dagli operai della General Trade in solidarietà alla famiglia Cassano.

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In nome di Padre Pio…

Un momento della benedizione della statua di Padre Pio donata dalla famiglia Cassano alla città di Martina Franca

Un momento della benedizione della statua di Padre Pio donata dalla famiglia Cassano alla città di Martina Franca

Da pochi giorni a questa parte, in città sta accadendo un fatto non troppo bello: la polemica sulla nuova statua di Padre Pio è degenerata in una battaglia a colpi di comunicati stampa tra il PDCI di Martina Franca e i dipendenti della General Trade. In questa impari lotta, i giornali locali hanno avuto un ruolo determinante nella demonizzazione del partito a favore della causa di Cassano e dei suoi dipendenti. Quello che è accaduto dimostra che per trovare giornalisti embedded non c’è mica bisogno di andare in Afghanistan al fronte con i marines, basta farsi due passi sullo stradone la domenica mattina. Non è accettabile ulteriormente la maniera in cui la realtà viene distorta. Probabilmente, ci piace pensare, non è possibile esercitare la professione della verità in realtà molto piccole e spesso compromesse come quella di Martina Franca. Probabilmente non è volontà personale inzerbinirsi al punto di rendersi complici del male in cui si dibatte la città.

Per questo, per dovere di cronaca, pubblichiamo integralmente il comunicato stampa del PDCI di Martina Franca, per fornire uno strumento di discernimento ai tanti a cui sta ancora a cuore la sorte di questa società.


“Scherza con i fanti ma lascia stare i santi!

E così la famiglia Cassano, benefattrice della comunità martinese, in quanto con le sue aziende dà lavoro a migliaia di persone, ha donato alla collettività la statua di Padre Pio, sistemata in una piazza centrale della nostra amena cittadina. Precisamente lì dove una volta sorgeva “l’incantevole” palazzone sede del mercato coperto, poi caduto in disuso ed in seguito fatto abbattere, un po’ di anni fa, trasformando appunto l’area in una simpatica piazzetta, da una solerte amministratrice comunale, proprietaria di immobili ubicati guarda caso proprio lì, che acquisivano così notevole valore economico.

La cerimonia, con tanto di banda, santa messa e benedizione del monumento, è stata naturalmente preceduta da affissione di manifestini pubblicitari dell’iniziativa, in cui si sottolineava che  l’opera, era appunto un dono della famiglia più ricca (forse) e famosa di Martina Franca.

Come nel medioevo, quando grazie ai mecenati, alle grandi famiglie che dominavano nei vari staterelli,in cui era divisa l’Italia, si finanziavano opere di pregio e grande valore artistico per il solo gusto di lasciare un segno della propria potenza.

Allora, Chiesa e Nobiltà si spartivano potere e privilegi, dominando su un popolo dalle precarie condizioni di vita, preda della superstizione e dell’ignoranza; oggi, in condizioni completamente diverse, ma con una crisi che colpisce soprattutto i ceti meno abbienti, chi detiene il potere economico si ingrazia la Chiesa e utilizza la fede religiosa, per continuare a ricavare profitti ingenti sulla pelle di chi, affamato di lavoro, accetta di svendere la propria forza lavoro e di essere sfruttato ogni giorno per nove, dieci, undici ore, con un salario di fame. Tanto se qualcuno decide di andare via, altri dieci sono pronti a prendere il suo posto. Anche perché, se non lavori da Cassano, a Martina, dove lavori? Da Scatigna, o in qualche ditta di confezioni, nelle stesse condizioni: con la lettera di licenziamento già firmata all’atto dell’assunzione ed una busta paga regolare “sulla carta” ma con un salario reale di 500 euro, se ti va bene.

D’altronde che ci vuoi fare? Occorre fede nel Signore e cristiana rassegnazione. Così va il mondo. Con l’aiuto del Signore si andrà avanti. Dopotutto i santi servono proprio a questo. Quando si è in difficoltà basta una preghiera a qualche santo e … speranza che tutto si aggiusti per il meglio.

Chi meglio di padre Pio? Anche la famiglia Cassano si rivolge a Lui per continuare ad accrescere il suo patrimonio. E la devozione ora è molto più grande dopo aver fatto sistemare la statua in quella pubblica piazza.

Sorgono una serie di obiezioni. Se veramente si voleva fare del bene alla collettività, perché non provare a far lavorare in modo giusto e regolare i propri dipendenti, con orari e paga regolari, secondo quanto prevedono i contratti stipulati con le organizzazioni sindacali? Forse così facendo la famiglia Cassano verrebbe veramente ricordata con stima in quanto imprenditori illuminati.

Inoltre se proprio si voleva una statua di Padre Pio, perché non metterla nel luogo più consono che è quello all’interno di una chiesa? Possibilmente senza tanta pubblicità e con una certa discrezione e riservatezza che è quanto ogni fede religiosa prescrive.

A proposito, se domani a qualcuno venisse in mente di far mettere una statua di Budda in Piazza XX Settembre, con che scusa si dovrebbe negargli il permesso?”

Ecco invece cosa scrive la Gazzetta del Mezzogiorno martedì 28/07:

“MARTINA DOPO L’INAUGURAZIONE DI SABATO

Ancora polemiche e proteste sulla statua di Padre Pio collocato in piazza Umberto

[A.Q.]

• La statua di padre Pio inaugurata sabato sera a Martina in piazza Umberto porta con sé ancora delle prese di posizione. Un cittadino, Martino Tulipano, in realtà lo aveva fatto sabato sera stesso con un cartello esibito proprio mentre era in corso l’inau – gurazione. Avrebbe preferito, Tulipano, che «una piazza storica non venisse occupata con questa statua che si poteva mettere altrove». Nel suo manifesto Tulipano ribadisce, come da tempo fa con le sue iniziative di protesta, la necessità di tornare a provvedimenti nel pieno della legalità e fa un esempio: quello della costruzione di palazzi che hanno di fatto ostruito l’affaccio alla Valle d’Itria dalla zona Spirito santo.
Ma un attacco duro all’iniziativa viene dai Comunisti Italiani (sezione Gramsci) che parlano praticamente di una iniziativa medioevale e, dal loro punto di vista, anche delle condizioni lavorative e salariali dell’impresa che ha finanziato l’acquisto della statua. Dice il Pdci di Martina: «Se proprio si voleva una statua di Padre Pio, perché non metterla nel luogo più consono che è quello all’interno di una chiesa? Possibilmente senza tanta pubblicità e con una certa discrezione e riservatezza che è quanto ogni fede religiosa prescrive. A proposito, se domani a qualcuno venisse in mente di far mettere una statua di Budda in piazza XX Settembre, con che scusa si dovrebbe negargli il permesso?»
Fatto sta che sabato sera in piazza c’erano parecchie persone a quella inaugurazione e non è infrequente vedere, in questi giorni, gente di ogni età fermarsi davanti a quella statua per dire una preghiera. C’è la libertà di protestare, c’è quella di essere devoti. E di devozione ha parlato nel suo discorso il sindaco Franco Palazzo nell’accogliere il monumento. Che sarà di impatto visivo inadeguato secondo alcuni, o di inadeguato rispetto nei confronti dei non credenti secondo altri, ma ora c’è e ai fedeli la cosa piace”.

A questo punto chiunque si incazzerebbe…