La sposa di Monopoli

Una sposa all’altare lasciata a bocca aperta dal suo futuro marito che risponde con un secco “No!”, lasciando tutti di stucco. Il motivo è una tresca tra testimone e futura moglie. Ma non finisce qui: lo sposo, incassato il successo di pubblico, porta i suoi amici e parenti comunque a festeggiare il suo ritorno al celelibato. Identikit di una storia virale.

La ricerca inizia con Google News. I primi risultati ovviamente portano a Repubblica…

20 settembre: 140mila click. Un record per Repubblica Bari

13:48

Monopoli: lo sposo dice no sull’altare. Il motivo? Chiedetelo alla sposa e al testimone

Tutto pronto per le nozze, adesso manca solo il fatidico si. La cerimonia, però, è divenuta solo un rito formale dove tutto solitamente fila liscio. Di certo sia lo sposo sia la sposa non aspettano di essere all’altare per far scoccare lo scioccante no.
Nella Basilica Maria santissima della Madia, il primo sabato di settembre, Don Vincenzo si era impegnato ad unire  due persone che volevano promettersi eterno amore, ma qualcosa è andato storto”. 

E ancora: “Non è difficile pensare che tra la sua futura (ex) moglie e il testimone ci fosse qualcosa, ma il quasi neo sposo al posto di chiudersi nel suo dolore ha festeggiato con parenti e amici il ritorno al celibato!”

Si nomina la chiesa e non si fa riferimento al fatto che lo sposo ha
festeggiato allo stesso ristorante dove si sarebbe dovuto tenere uil
banchetto nuziale.

16:55: prima smentita
‘No sull’altare’, ma e’ solo una bufala

MONOPOLI – Nessun rifiuto sull’altare. Diciamolo subito a scanso di equivoci. La notizia diffusa nei giorni scorsi e rilanciata da quotidiani e telegiornali locali e nazionali è totalmente falsa, per non dire infondata. Una bufala colossale. Nessun matrimonio è stato mai interrotto nelle chiese di Monopoli.

La storia ha radici assai lontane. E” da Ferragosto che se ne parla in città, ma mai nessuno ha saputo fornire indicazioni esatte circa l”identità degli sposi e della chiesa in cui si sarebbe consumato il
plateale “rifiuto”. Semmai, abbiamo assistito a repentine distorsioni del pettegolezzo. Nel giro di una settimana tre parrocchie sono finite
al centro dell”equivoco: Sant”Anna, Sant”Antonio ed infine la Basilica
Cattedrale. Ma i tre parroci, sentiti da Fax, hanno smentito la vicenda ancor prima che qualche organo di informazione la rendesse pubblica, spacciandola per “fatto vero”

Ci lascia una nuova traccia però: “Il sospetto, tuttavia, è che qualcuno, forse per gioco, abbia voluto
ambientare a Monopoli un episodio analogo a quello collocato nella
chiesa del Santissimo Nome di Gesù a Noci lo scorso luglio”.

17:56 – ormai il meccanismo è avviato e non si pò fermare…


Bari, lo sposo dice no sull’altare: «La sposa e il testimone sanno perchè»

PRECEDENTEUars, il satellite che sta per c… SUCCESSIVOUsa, i militari gay non dovranno… Bari, lo sposo dice no sull’altare: "La sposa e il testimone sanno perchè" Qualche settimana fa uno sposo ha lasciato la fidanzata dopo aver scoperto il tradimento "Siete disposti ad amarvi e onorarvi l’un l’altro per tutta la vita?".
Il racconto si arricchisce di particolari

«Figliolo, posso chiederti il motivo di questa tua
drastica decisione?
»
Il prete usa un disorso diretto, saranno state davvero queste le sue parole?

Il "no" dello sposo sull’altare: "Chiedete a lei e al testimone" – sposo, matrimoni, si, no, bari – Libero-News.it

A volte la realtà supera di gran lunga la fantasia.Purtroppo in questa storia lo fa in peggio. Immaginate il matrimonio del…

Seconda smentita (citanto Faxonline.it)

La notizia del giorno – Una “bufala” le nozze sospese di Monopoli| italia| Il SecoloXIX

Una bufala il matrimonio andato a monte per il no dello sposoBari – La notizia del giorno, quella più cliccata in queste ultime ore su vari siti e portali internet, è una leggenda metropolitana, o forse non proprio, però pare accertato che non sia vero che a Monopoli un quasi-sposo abbia risposto «no» alla fatidica domanda formulata sull”altare, aggiungendo alla successiva richiesta di spiegazioni: «Chiedetelo al testimone».
A corredo del pezzo del Secolo XIX c’è il link ad un video su Youtube, che però riporta la data del giorno successivo…
[youtube http://www.youtube.com/watch?v=XrfeKojIEcs?enablejsapi=1&origin=storify.com&wmode=opaque&w=360&h=294]
18:27
No sull’altare, Don Vincenzo smentisce

MONOPOLI – Il rettore della Basilica Cattedrale, don Vincenzo Muolo, smentisce categoricamente l’episodio raccontato dai mass-media locali e nazionali secondo il quale lo sposo avrebbe rifiutato sull’altare la proposta di matrimonio, sospettando una tresca tra la futura moglie ed uno dei testimoni.
La Gazzetta del Mezzogiorno.it | Lui la lascia sull’altare? Il parroco: tutto falso

Copyright © 2011 EDISUD SpA. Tutti i diritti riservati. EDISUD SpA – Partita Iva N. 02492480724

Se la smentita avviene sulla rivista Faxonline, il 20 settembre stesso, sullo stesso sito non compare la notizia. La rivista, cioè, pubblica solo la smentita al fatto.
Ci affidiamo ad altri strumenti di ricerca. Attraverso Openbook:

Se i bookmakers (le agenzie che si occupano di scommesse sportive e non) dovessero quotare un “no” sull’altare, lo darebbero magari a 1.000. Ovvero: altamente improbabile….
Giorgio Zanlorenzi
September 20, 2011
Matrimonio con colpo di scena a Monopoli. Alla fatidica domanda formulata dal sacerdote, lo sposo prima resta in silenzio, poi risponde “no”. Il motivo della decisione? “Chiedetelo alla sposa e al suo testimone”
Fabrizio Natale
September 20, 2011
La notizia viene presa principalmente da due fonti: Baritoday e Attualissimo.it
Monopoli: lo sposo dice "no" sull’altare, e svela "la tresca" tra sposa e testimone

Qualche volta può accadere, e non soltanto nei film. Come è accaduto nella basilica di Maria Santissima della Madia a Monopoli qualche settimana fa, in un sabato di inizio settembre. A riferire la vicenda è l’edizione locale di Repubblica.
Monopoli, lo sposo dice “no” alla sposa sull”altare e spiega perché

20 set, ’11 alle 7:59, di Gianni Monaco Se i bookmakers (le agenzie che si occupano di scommesse sportive e non) dovessero quotare un "no" sull’altare, lo darebbero magari a 1.000. Ovvero: altamente improbabile. Ed effettivamente, quando avete assistito a una cerimonia matrimoniale, quanti "no" avete udito? Sicuramente nessuno.

Ma se Baritoday si affretta a dare la fonte della notizia (che è Repubblica Bari), Attualissimo non dice nulla. A questo dobbiamo aggiungere che Baritoday fornisce anche la notizia della smentita.

La redazione di Attualissimo ci dice che la notizia arriva dal sito di Repubblica. Sentito Paolo Russo, cronista della redazione locale, ci racconta che i primi a dare la notizia sono quelli di Canale7 una testata locale, proprio di Monopoli. E infatti, sul loro sito raccontano con orgoglio di essere stati i primi in assoluto.

Ecco la notizia: http://www.canale7.tv/content/view/2561/9/

Se volessimo ricostruire il percorso della notizia, possiamo dire che parte da Canale7 e quindi passa a Repubblica Bari e da qui ad Attualissimo. Il passaggio sui social network è semplice, la notizia si amplifica e prende rilevanza nazionale.
La domanda è: perchè una notizia del genere ha avuto un’esplosione tale?
La risposta più probabile è semplice: la storia di un matrimonio saltato per una tresca tra sposa e testimone appartiene al nostro immaginario da sempre, iscritta nel codice genetico delle nostre categorie. Una notizia del genere ha un terreno fertile su cui attecchire, perchè fa riferimento a qualcosa che conosciamo bene e soprattutto che stimola la nostra curiosità. Tant’è che nella veloce smentita del sacerdote, si fa riferimento ad un episodio simile che è accaduto in una cittadina vicina a Monopoli.
Facebook ha un ruolo solo per quanto riguarda la velocità di diffusione. Una storia del genere è virale di per sè. Una storia del genere appartiene ai nostri ricordi e sarebbe stata diffusa comunque anche senza i social network. Questo, a dimostrazione che le storie che raccontiamo, sono più importanti di Facebook.
PS: pare che la storia sia accaduta davvero. Ma a noi, che ce ne importa?

Nominando i domini. Dominando i nomi.

Accade che hai un’idea in testa e prima ancora che riesci a metterla giù per iscritto, ti metti a digitare su Google il nome del sito che vorresti fare, o del progetto e ti accorgi che sono tutti occupati. In un mondo online dominato dai SEO e dagli aggiornamenti degli algoritmi dei motori di ricerca, possedere il nome giusto per il sito giusto per l’idea giusta è quasi più importante del progetto stesso, secondo la logica per cui bisogna ragionare come l’utente che ti cerca, tentando di intuire le parole che cercherà su Google. Una logica che se da un lato favorisce la chiarezza dall’altro ammazza la fantasia. Con Officina Narrativa accade la stessa cosa. Quando ho aperto il blog, il sottotitolo era “traduzioni sul crinale della decadenza”, facendo riferimento allo scopo del blog che era ed è, quello di “tradurre” le notizie per renderle comprensibili a chiunque, meglio ancora, di declinarle al luogo, al tempo e alle persone a cui mi rivolgo. Quello che è accaduto, all’epoca digiuno di SEO e SEM, è stato che Officina è stata associata ai servizi di traduzione.

Ok, colpa mia.

Però la riflessione è spontanea: i motori di ricerca quanto contribuiscono all’appiattimento linguistico e conseguentemente semantico? Quanto la ricerca per essere i primi nelle SERP ci induce a rinunciare a sfumature e figure retoriche, preferendo il grassetto alle subordinate? (un argomento talmente spinoso da meritare di essere trattato con calma in seguito).

La seconda riflessione è politica: i domini, nomen omen. La libertà di acquistare il dominio torte.it mette automaticamente in una posizione migliore coloro che ce l’hanno, regalando quasi un pezzetto stesso del concetto. Nomen omen: chi ha più diritto di possedere il nome torte.it? Chi arriva prima o chi ha più disponibilità economica?

Foto di repertorio

La Gazzetta del Mezzogiorno.it forse ha una carenza di foto di repertorio, dato che ha pubblicato la foto del giornalista dell’Espresso Fabrizio Gatti per corredare l’articolo sulle novità della vertenza dei braccianti della masseria Boncuri. La foto è tratta da famosissimo servizio del reporter in cui si è finto un migrante clandestino di origini curde di nome Bilal (che poi è diventato un libro), che ha in qualche maniera contribuito a squarciare il velo di omertà sulla vicenda dei lavoratori stagionali nelle nostre campagne.

[youtube=http://www.youtube.com/watch?v=E8J1_-eq7xs]

Strage di Oslo: colpa di Call of Duty (e Marilyn Manson)

Immagine liberamente tratta da www.fpsteam.it

Il Tg1 continua a mantenere saldo il suo stile tipico del giornalismo d’inchiesta: qualche decina di secondi di un servizio montato con scene di videogame e di musica metal per raccontarci, in sintesi, che se Breivik ha ucciso, lo ha fatto perchè appassionato di Call of Duty:  “un mondo virtuale in cui la musica e il sangue finto annullano la percezione del dolore e della morte”.

[youtube=http://www.youtube.com/watch?v=DtFIWoKbwW4&feature=player_embedded]

Il servizio non l’ho visto in diretta, il Tg1 non riesco più a guardarlo, ma Pino Bruno ha fatto in modo che non passasse inosservato.

Questa tesi pare sia stata sposata anche dalla Binetti, che l’ha esposta durante il programma KlausCondicio di Klaus Davi (ne dà notizia il sito Ludomedia):

“Noi facciamo limitazioni nella vendita di alcolici e di sigarette ai minori. Sulle confezioni ci sono le indicazioni che chiariscono i danni alla salute (i videogiochi sono un danno per la salute? ndr.). E’ evidente che i limiti sono aggirabili, ma abbiamo almeno cercato di proteggere chi è più esposto. Di dare cioè un segnale, assumendoci la responsabilità. Aumentare il livello di prudenza è un obbligo morale. Questa è una della cose più importanti di cui si dovrà occupare il costituendo Garante dell’Infanzia, cioè la prevenzione; che non va intesa come censura, come limitazione delle libertà individuale, ma come una misura di prevenzione che garantisce la libertà di molte altre persone”

Questa tesi porta con sè diversi livelli di lettura:

Il primo riguarda il concetto di responsabilità: pensare che un videogioco o un genere musicale siano capaci di influenzare o di svolgere un ruolo pedagogico, significa voler volutamente e malignamente distogliere l’attenzione da dinamiche ben più imbarazzanti da spiegare. Breivik ha scritto un memoriale lunghissimo in cui spiega per filo e per segno la sua intenzione e la sua ispirazione, la sua appartenenza a ideologie di destra estrema, di cui comunque la Scandinavia è da sempre incubatrice. La strage di Oslo racconta sì di uno psicopatico che è riuscito a fare un po’ quello che voleva per un’oretta, ma è simbolo di una sottovalutazione generale di alcune radicalizzazioni. Il proselitismo di movimenti xenofobi e di estrema destra è più capillare di quanto si pensi ed è anche alimentato e in qualche modo legittimato da scelte politiche ufficiali (vedi in Italia le leggi sull’immigrazione) o da dichiarazioni di rappresentanti politici da TSO.

Il secondo livello di lettura riguarda invece la responsabilità sociale dei media: alla base delle farneticazioni razziste e naziste di Breivik, ci sono l’odio e la paura alimentati da un sistema mediatico che non racconta il diverso e indica nell’altro la responsabilità di qualsiasi cosa di brutto accada, come ad esempio la prima pagina de Il Giornale che indicava negli estremisti islamici i colpevoli della tragedia. Quanto accaduto in Norvegia è il risultato di anni di martellamento mediatico contro i migranti, contro i diversi, contro tutto ciò che in qualche maniera mette in discussione l’etnocentrismo occidentale. Il servizio di Virgina Lozito del Tg1, una giornalista di Ginosa che dice ispirarsi al reporter americano Walter Lippmann (qualche dubbio mi pare legittimo), è un fiume di stereotipi e di clichè, vomitati senza soluzione di continuità verso un pubblico il più delle volte diseducato e già preparato ad assorbire i concetti semplici del servizio. Un pubblico che è pronto a prendere per vero quanto dice il Tg1 perchè è il Tg1 e perchè il servizio racconta di uno scenario verosimile, concreto, in cui tutti possono ritrovarsi: il figlio o il nipote che giocano con i videogame piccoli terroristi in miniatura pronti a far fuori chiunque. Un servizio pericoloso, criminale, perchè diffonde notizie non verificate perchè non verificabili, una pappa pronta da servire a persone diseducate ai media, ma assuefatti alla estrema semplificazione che essi fanno del mondo che ci circonda. C’è una strage? Sono stati i musulmani. Il terrorista è biondo e con gli occhi azzurri? Allora è colpa di Call of Duty (e un po’ di Marilyn Manson).

Infine l’autrice del servizio dimostra di non sapere nemmeno di cosa sta parlando: Call of Duty è un videogioco in cui i nazisti vengono cacciati, non addestrati.

Carlo Giuliani.

“Quando dallo stadio vidi muoversi quel fiume di persone, quella moltitudine colorata, allora pensai che forse davvero qualcosa si poteva fare, che un mondo migliore poteva esistere.” Uno che a Genova c’era.

Poi il mondo crolla con un colpo in testa.

Non fiori sulla tomba, ma l’appello di Wu Ming per quei giorni.

Dalle moltitudini d’Europa in marcia contro l’Impero

e verso Genova (19-21 luglio 2001)

Noi siamo nuovi, ma siamo quelli di sempre.

Siamo antichi per il futuro, esercito di disobbedienza le cui storie sono armi, da secoli in marcia su questo continente. Nei nostri stendardi è scritto “dignità”. In nome di essa combattiamo chi si vuole padrone di persone, campi, boschi e corsi d’acqua, governa con l’arbitrio, impone l’ordine dell’Impero, immiserisce le comunità.

Siamo i contadini della Jacquerie. I mercenari della Guerra dei Cent’anni razziavano i nostri villaggi, i nobili di Francia ci affamavano. Nell’anno del Signore 1358 ci sollevammo, demolimmo castelli, ci riprendemmo il nostro. Alcuni di noi furono catturati e decapitati. Sentimmo il sangue risalire le narici, ma eravamo in marcia ormai, e non ci siamo più fermati.

Siamo i ciompi di Firenze, popolo minuto di opifici e arti minori. Nell’anno del Signore 1378 un cardatore ci guidò alla rivolta. Prendemmo il Comune, riformammo arti e mestieri. I padroni fuggirono in campagna e di là ci affamarono cingendo d’assedio la città. Dopo due anni di stenti ci sconfissero, restaurarono l’oligarchia, ma il lento contagio dell’esempio non lo potevano fermare.

Siamo i contadini d’Inghilterra che presero le armi contro i nobili per porre fine a gabelle e imposizioni. Nell’anno del Signore 1381 ascoltammo la predicazione di John Ball: “Quando Adamo zappava ed Eva filava / chi era allora il padrone?”. Con roncole e forconi muovemmo dall’Essex e dal Kent, occupammo Londra, appiccammo fuochi, saccheggiammo il palazzo dell’Arcivescovo, aprimmo le porte delle prigioni. Per ordine di re Riccardo II° molti di noi salirono al patibolo, ma nulla sarebbe più stato come prima.

Siamo gli hussiti. Siamo i taboriti. Siamo gli artigiani e operai boemi, ribelli al papa, al re e all’imperatore dopo che il rogo consumò Ian Hus. Nell’anno del signore 1419 assaltammo il municipio di Praga, defenestrammo il borgomastro e i consiglieri comunali. Re Venceslao morì di crepacuore. I potenti d’Europa ci mossero guerra, chiamammo alle armi il popolo ceco. Respingemmo ogni invasione, contrattaccando entrammo in Austria, Ungheria, Brandeburgo, Sassonia, Franconia, Palatinato… Il cuore di un continente nelle nostre mani. Abolimmo il servaggio e le decime. Ci sconfissero trent’anni di guerre e crociate.

Siamo i trentaquattromila che risposero all’appello di Hans il pifferaio. Nell’anno del Signore 1476, la Madonna di Niklashausen si rivelò ad Hans e disse:

“Niente più re né principi. Niente più papato né clero. Niente più tasse né decime. I campi, le foreste e i corsi d’acqua saranno di tutti. Tutti saranno fratelli e nessuno possederà più del suo vicino.”

Arrivammo il giorno di S. Margherita, una candela in una mano e una picca nell’altra. La Santa Vergine ci avrebbe detto cosa fare. Ma i cavalieri del Vescovo catturarono Hans, poi ci attaccarono e sconfissero. Hans bruciò sul rogo. Non così le parole della Vergine.

Siamo quelli dello Scarpone, salariati e contadini d’Alsazia che, nell’anno del Signore 1493, cospirarono per giustiziare gli usurai e cancellare i debiti, espropriare le ricchezze dei monasteri, ridurre lo stipendio dei preti, abolire la confessione, sostituire al Tribunale Imperiale giudici di villaggio eletti dal popolo. Il giorno della Santa Pasqua attaccammo la fortezza di Schlettstadt, ma fummo sconfitti, e molti di noi impiccati o mutilati ed esposti al dileggio delle genti. Ma quanti di noi proseguirono la marcia portarono lo Scarpone in tutta la Germania. Dopo anni di repressione e riorganizzazione, nell’anno del Signore 1513 lo Scarpone insorse a Friburgo. La marcia non si fermava, né lo Scarpone ha più smesso di battere il suolo.

Siamo il Povero Konrad, contadini di Svevia che si ribellarono alle tasse su vino, carne e pane, nell’anno del Signore 1514. In cinquemila minacciammo di conquistare Schorndorf, nella valle di Rems. Il duca Ulderico promise di abolire le nuove tasse e ascoltare le lagnanze dei contadini, ma voleva solo prendere tempo. La rivolta si estese a tutta la Svevia. Mandammo delegati alla Dieta di Stoccarda, che accolse le nostre proposte, ordinando che Ulderico fosse affiancato da un consiglio di cavalieri, borghesi e contadini, e che i beni dei monasteri fossero espropriati e dati alla comunità. Ulderico convocò un’altra Dieta a Tubinga, si rivolse agli altri principi e radunò una grande armata. Gli ci volle del bello e del buono per espugnare la valle di Rems: assediò e affamò il Povero Konrad sul monte Koppel, depredò i villaggi, arrestò sedicimila contadini, sedici ebbero recisa la testa, gli altri li condannò a pagare forti ammende. Ma il Povero Konrad ancora si solleva.

Siamo i contadini d’Ungheria che, adunatisi per la crociata contro il Turco, decisero invece di muover guerra ai signori, nell’anno del Signore 1514. Sessantamila uomini in armi, guidati dal comandante Dozsa, portarono l’insurrezione in tutto il paese. L’esercito dei nobili ci accerchiò a Czanad, dov’era nata una repubblica di eguali. Ci presero dopo due mesi d’assedio. Dozsa fu arrostito su un trono rovente, i suoi luogotenenti costretti a mangiarne le carni per aver salva la vita. Migliaia di contadini furono impalati o impiccati. La strage e quell’empia eucarestia deviarono ma non fermarono la marcia.

Siamo l’esercito dei contadini e dei minatori di Thomas Muentzer. Nell’anno del Signore 1524, al grido di: “Tutte le cose sono comuni!” dichiarammo guerra all’ordine del mondo, i nostri Dodici Articoli fecero tremare i potenti d’Europa. Conquistammo le città, scaldammo i cuori delle genti. I lanzichenecchi ci sterminarono in Turingia, Muentzer fu straziato dal boia, ma chi poteva più negarlo? Ciò che apparteneva alla terra, alla terra sarebbe tornato.

Siamo i lavoranti e contadini senza podere che nell’anno del Signore 1649, a Walton-on-Thames, Surrey, occuparono la terra comune e presero a sarchiarla e seminarla. “Diggers”, ci chiamarono. “Zappatori”. Volevamo vivere insieme, mettere in comune i frutti della terra. Più volte i proprietari terrieri istigarono contro di noi folle inferocite. Villici e soldati ci assalirono e rovinarono il raccolto. Quando tagliammo la legna nel bosco del demanio, i signori ci denunciarono. Dicevano che avevamo violato le loro proprietà. Ci spostammo a Cobham Manor, costruimmo case e seminammo grano. La cavalleria ci aggredì, distrusse le case, calpestò il grano. Ricostruimmo, riseminammo. Altri come noi si erano riuniti in Kent e in Northamptonshire. Una folla in tumulto li allontanò. La legge ci scacciò, non esitammo a rimetterci in cammino.

Siamo i servi, i lavoranti, i minatori, gli evasi e i disertori che si unirono ai cosacchi di Pugaciov, per rovesciare gli autocrati di Russia e abolire il servaggio. Nell’anno del Signore 1774 ci impadronimmo di roccaforti, espropriammo ricchezze e dagli Urali ci dirigemmo verso Mosca. Pugaciov fu catturato, ma il seme avrebbe dato frutti.

Siamo l’esercito del generale Ludd. Scacciarono i nostri padri dalle terre su cui vivevano, noi fummo operai tessitori, poi arrivò l’arnese, il telaio meccanico… Nell’anno del Signore 1811, nelle campagne d’Inghilterra, per tre mesi colpimmo fabbriche, distruggemmo telai, ci prendemmo gioco di guardie e conestabili. Il governo ci mandò contro decine di migliaia di soldati e civili in armi. Una legge infame stabilì che le macchine contavano più delle persone, e chi le distruggeva andava impiccato. Lord Byron ammonì:

“Non c’è abbastanza sangue nel vostro codice penale, che se ne deve versare altro perché salga in cielo e testimoni contro di voi? Come applicherete questa legge? Chiuderete un intero paese nelle sue prigioni? Alzerete una forca in ogni campo e appenderete uomini come spaventacorvi? O semplicemente attuerete uno sterminio?… Sono questi i rimedi per una popolazione affamata e disperata?”.

Scatenammo la rivolta generale, ma eravamo provati, denutriti. Chi non penzolò col cappio al collo fu portato in Australia. Ma il generale Ludd cavalca ancora di notte, al limitare dei campi, e ancora raduna le armate.

Siamo le moltitudini operaie del Cambridgeshire, agli ordini del Capitano Swing, nell’anno del Signore 1830. Contro leggi tiranniche ci ammutinammo, incendiammo fienili, sfasciammo macchinari, minacciammo i padroni, attaccammo i posti di polizia, giustiziammo i delatori. Fummo avviati al patibolo, ma la chiamata del Capitano Swing serrava le file di un esercito più grande. La polvere sollevata dal suo incedere si posava sulle giubbe degli sbirri e sulle toghe dei giudici. Ci attendevano centocinquant’anni di assalto al cielo.

Siamo i tessitori di Slesia che si ribellarono nell’anno 1844, gli stampatori di cotonate che quello stesso anno infiammarono la Boemia, gli insorti proletari dell’anno di grazia 1848, gli spettri che tormentarono le notti dei papi e degli zar, dei padroni e dei loro lacchè. Siamo quelli di Parigi, anno di grazia 1871.

Abbiamo attraversato il secolo della follia e delle vendette, e proseguiamo la marcia.

Loro si dicono nuovi, si battezzano con sigle esoteriche: G8, FMI, WB, WTO, NAFTA, FTAA… Ma non ci ingannano, sono quelli di sempre: gli écorcheurs che razziarono i nostri villaggi, gli oligarchi che si ripresero Firenze, la corte dell’imperatore Sigismondo che attirò Ian Hus con l’inganno, la Dieta di Tubinga che obbedì a Ulderico e annullò le conquiste del Povero Konrad, i principi che mandarono i lanzichenecchi a Frankenhausen, gli empii che arrostirono Dozsa, i proprietari terrieri che tormentarono gli Zappatori, gli autocrati che vinsero Pugaciov, il governo contro cui tuonò Byron, il vecchio mondo che vanificò i nostri assalti e sfasciò ogni scala per il cielo.

Oggi hanno un nuovo impero, su tutto l’orbe impongono nuove servitù della gleba, si pretendono padroni della Terra e del Mare.

Contro di loro, ancora una volta, noi moltitudini ci solleviamo.

Genova.

Penisola italica.

19, 20 e 21 luglio

di un anno che non è più di alcun Signore.

 

I segreti della Casta di Montecitorio: svelata l’identità della gola profonda

Scherzo, ovviamente.

Anche perchè non ci importa chi sia, ma che le cose che dice siano vere. O meglio che ci sia un attimo una crepa in quel sorriso di vetro di chi vota leggi finanziarie e non sa quanto costa un chilo di pane. Forse è questo il problema: quanto costa il pane e quanto prendo di stipendio. E il fatto che queste due cifre vengono stabilite da persone che forse non sanno nemmeno dove si compra il pane.

Eppure questo Spider Truman ha rotto una consuetudine, non solo facendo esplodere il caso dei privilegi di chi legifera, ma anche facendo venire a galla i nostri peggiori bassi istinti. Il primo fra tutti quell’invidia malcelata dietro “secondo me è un’operazione di Beppe Grillo“, oppure “sarà un teaser per un libro sui politici”.

Rimane che tutto questo è stato fatto per vendetta, e questo non mi piace troppo, anche perchè ha aspettato 15 anni per parlarne.

Eppure, che sia o no genuino, Spider Truman sta svolgendo un servizio per la comunità, cosa che schiere di giornalisti troppo pieni di sè non hanno mai fatto. Certo, ne hanno parlato Rizzo e Stella, ma quello era un libro, e i commenti scritti a matita sul bordo della pagina non possono essere condivisi.

Infine, l’ultima cosa, che mi piace di più, è un piccolo volo pindarico sul nome: Spider Truman. Spider come supereroe o come ragno? Dipenderà dalle tele che è riuscito a tessere o da un riferimento alla sua vera identità? Oppure perchè pensa di essere un supereroe? E poi quel Truman, che poco spazio lascia alla riflessione: lo strappo nel cielo di carta svela un po’ che siamo tutti protagonisti nostro malgrado, dello stesso, misero, show.

I segreti della casta di Montecitorio

Facebook stamattina ha portato una grossa novità: un precario incazzato, licenziato dopo 15 anni di lavoro a Montecitorio ha deciso di vuotare il sacco sui privilegi e le furberie dei nostri rappresentanti politici: ha aperto un blog (I segreti della casta di Montecitorio) e una pagina sul social network, il cui numero di fan cresce di centinaia nel giro di pochi secondi (adesso sono 39.567, vedremo quanti saranno alla fine del pezzo).

L’operazione è interessantissima, lo svelamento dei vizi e delle virtù dei deputati, i privilegi svelati ad un popolo incazzato educato da anni di crisi e da due decenni di voglia di giustizia.

Un’iniziativa che arriva dopo che è stata approvata la manovra finanziaria che prevede tagli per le classi meno privilegiate e il mantenimento dei bonus per i politici.

Non si può ancora dire se è reale o uno scherzo, però, nel dubbio, ho scritto questo post affichè rimanga traccia del tentativo coraggioso di rompere gli schemi e raccontare cosa accade nel Palazzo.

(Adesso i fan sono 43.153!)

Maroni e Ezio Mauro ci spiegano chi sono i black bloc

Mentre scrivo c’è in diretta la conferenza stampa del Movimento No Tav: della giornata di ieri è stato omesso il 95%, mentre (ovviamente aggungo io) è stato raccontato dai Tg solo il 5% della manifestazione. Il portavoce del movimento riporta le dinamiche che accadono lassù in montagna e che a noi, con i piedi a mollo tra l’Adriatico e lo Jonio potrebbero sfuggirci. Abbiamo visto nei tg di ieri lanci di sassi e lacrimogeni, polizia e manganelli, passamontagna e sciarpe. Per chi se lo ricorda, abbiamo visto una diapositiva di quello che dieci anni fa succedeva sempre nel nordovest d’Italia, dalle parti di piazza Alimonda. Eppure noi non ci siamo stati ieri, lassù in montagna, eppure abbiamo visto immagini che sappiamo non corrispondere a verità. Sappiamo che la Tav rappresenta il crocevia di interessi strategici, un pozzo di San Patrizio di denaro pubblico da riversare nelle tasche di pochi, sacrificando boschi e territorio. Lassù in montagna si sono scontrati due mondi, due visioni, due società, un po’ come raccontava il cartone animato Galaxy Express 999, due specie di esseri umani: chi ha può permettersi di avere un corpo meccanico e chi invece no.

Ma non voglio essere retorico e parlare di qualcosa a cui non ho partecipato fisicamente. Ci limitiamo a quello che tenta di fare di solito Officina, cioè l’analisi del racconto dei fatti.

Ieri le prime pagine dei tg nazionali riportavano la notizia degli scontri in Valsusa, delle decine di poliziotti feriti e di qualche manifestante contuso. Subito a commento della scarsa notizia (qui c’è il commento di Maroni, e qui l’identikit dei black bloc da parte del Tg1) le opinioni dei politici, tutti concordi alla condanna della violenza, da destra a sinistra.

In questo racconto però, non emergono i fatti. Anzi, così come viene narrata, la notizia è che un gruppo di manifestanti con competenze militari hanno preso di mira i cantieri della Tav. Non emerge per nulla il fatto che ieri c’è stata una manifestazione nazionale a cui hanno partecipato decine di migliaia di persone. Non emerge che in Val di Susa si stanno fronteggiando due modi diversi di intendere il futuro dell’uomo e della società. Non emergono i motivi del no, non emergono gli interessi del sì.

Se non fossimo dotati di strumenti di condivisione e di informazione p2p la conoscenza del fenomeno sarebbe ridotta all’opinione di Bersani o di Maroni, alle urla di Grillo, alle veline di Minzolini. Ma fortunatamente apriamo Facebook e scopriamo video e testimonianze, percorriamo tramite i link la rete e scopriamo articoli e racconti diversi. Non conformi, non allineati. La rete viene in soccorso al cittadino vittima di un pauroso deficit di informazione, che si manifesta in titoli su quattro colonne che condannano le proteste, che prendono spunti dai sassi lanciati per liquidare la volontà dei cittadini a vagiti di ignoranti.

Qui su Officina ci limitiamo a raccontare il racconto, che in questo caso pende solo da una parte: media nazionali che occupano gli spazi che disegnano realtà fittizie, mentre la conversazione, la nuvola delle informazioni invece pende dall’altra. Se non ci informiamo dagli arabi, meglio utilizzare Youtube.

La video notizia su Al Jazeera

[youtube=http://www.youtube.com/v/Hp0oAKHGxfw]

Il racconto di un manifestante

[youtube=http://www.youtube.com/watch?v=ZDy8M8hS3Cg&feature=share]

La sinistra vince sul web grazie a Stracquadanio (e a Brunetta)

Accendere il pc la mattina e essere accolti da un intervento del senatore Pdl Stracquadanio che riconosce nel fancazzismo le ragioni della sconfitta elettorale della destra e subito dopo un video del ministro Brunetta che insulta un gruppo di precari definendoli “Italia peggiore”, è indice che oggi i social network fumeranno di commenti, interventi e post.

[youtube=http://www.youtube.com/watch?v=n3wgWlQzidQ&feature=player_embedded]

[youtube=http://www.youtube.com/watch?v=UMLB_v65HGM&feature=player_embedded]

Se Stracquadanio da un certo punto di vista ha ragione (molti di noi passano un sacco di tempo al pc perchè non hanno un lavoro o perchè lavorano 4 ore al giorno) dall’altro non comprende che proprio infelici uscite come la sua e quella di Brunetta alimentano la conversazione, dando a noi blogger e fancazzisti argomenti di cui discutere. Molto probabilmente è vero che le uscite pubbliche di personaggi del genere, capaci di attirare tutta l’attenzione dei web, è una geniale mossa per distogliere l’attenzione da fatti ben più importanti, come lo scontro tra Tremonti e Maroni o il fatto che in Puglia hanno ripubblicizzato l’AQP, il primo risultato politico rilevante dopo (e grazie) il referendum. Appena si sente forte il rumore dello scricchiolio della maggioranza, mandano avanti i buffoni (carissimi Stracquadanio e Brunetta, mi avete dato del fancazzista e mi avete detto che sono l’Italia peggiore, “buffone” mi sembra poco in confronto) e i cittadini immediatamente distolgono lo sguardo (e la pressione) dalle cose importanti. Non dimentichiamo infatti che Brunetta è comparso dal nulla all’inizio di questo governo e poi è sparito dopo aver sparato a zero sugli impiegati pubblici, dando il tempo alla maggioranza di assestarsi, e poi è ricomparso solo ora.

Il web e la conversazione online si nutre di gaffe e di figure del genere, si alimenta come un parassita attaccato al suo ospite. Se il livello della conversazione non fosse tenuto costantemente basso da personaggi del genere, il numero dei commentatori autorevoli (tra cui il sottoscritto) non avrebbe di che parlare. Un conto è, miei cari signori, commentare l’insulto di Brunetta, un conto è commentare la proposta dei tagli lineari di Tremonti.