Che Palazzo abbia finalmente ammazzato il Leviatano?

Dopo mesi di battaglie ieri è stato abbattuto il muro che ostruiva Via Trento a Martina Franca.

Il Leviatano è un mostro orribile che si scatena ogni volta che le classi entrano in guerra. Che siano esse operaie contro i padroni, o sudditi contro il re, il Leviatano si alza nella sua potenza e decide le sorti della battaglia. Ne parlava Hobbes nell’omonimo libro del 1600 e passa, in cui analizzava lo scontro del potere tra la monarchia e il popolo. Questo rapporto, una sorta di contratto sociale, costringe gli uni a seguire la legge dell’altro in modo che  non si viva allo stato di natura: nella giungla la lotta tra predatori e predati è perenne e per evitare questo, gli esseri umani, si danno delle leggi, affidano il potere ad uno, o ad una classe, e evitano di vivere nel perenne terrore di essere uccisi.

A Martina Franca non accade questo: l’amministrazione comunale assente permette che viga la legge del più forte. Come è accaduto in via Trento fino a ieri, dove un importante imprenditore locale ha fatto valere i suoi diritti di proprietà con la “forza” occupando la strada che le carte dicono essere sua. I cittadini hanno subito per qualche anno, ma ad ogni avanzamento di centimetro il malumore cresceva, fino a fine marzo, quando un comitato spontaneo di cittadini ha deciso di dire basta alla situazione chiedendo un intervento dell’amministrazione. Nel frattempo era stato approvato un piano di riqualificazione dell’area, considerando come dato di fatto l’appropriazione della particella privata da parte del Comune. Per dispetto l’imprenditore ha allargato sempre più i confini reali della proprietà, con gradini, cancelli, grate, muri e alberi, fino quasi a farli coincidere con l’effettiva dimensione della particella posseduta.

via trento dall'alto (da notare la vicinanza delle strisce bianche a quella gialla)

All’epoca della costruzione della strada, infatti, il sindaco di Martina era un certo Motolese, famoso perchè concludeva gli affari con semplici strette di mano. Il caso di Via Trento è uno dei tanti: la strada appartiene a tre privati, oltre a Lucarella, la famiglia Lupoli, poi Bellanova e Raguso. Non c’è mai stato un pubblico atto di esproprio o qualcosa del genere e la strada potrebbe essere chiusa da una sbarra senza che si violi nessuna legge. Il caso di Lucarella poi, è particolare. Alcuni testimoni narrano infatti che l’accordo con Motolese abbia avuto come obiettivo l’apertura delle due saracinesche che insistono sulla strada: il sindaco dava l’autorizzazione all’apertura, l’imprenditore concedeva la strada. Una stretta di mano e l’affare è fatto. Solo che, succeduto al padre il figlio, questi vuole rivendicare i diritti di una proprietà mai formalmente alienata.

progetto via trento

Siamo ai nostri giorni: i cittadini protestano, non possono transitare e non possono parcheggiare, i vigili multano e i confini si allargano. Il comitato non ce l’ha con l’imprenditore, come è ovvio, ma con l’amministrazione inadempiente. Solo che l’imprenditore ha modi di fare manco troppo gentili e potrebbe attirare su di sè il malumore. Nel frattempo  infatti aumenta e si arriva all’ennesima manifestazione per strada, poi al Comune e infine ieri, dopo tanto lottare, con un decreto urgente, gli operai del comune, spalleggiati da uno schieramento di polizia che manco il G8, si ingegnano ad abbattere il muro e ridare al pubblico ciò che deve essere pubblico. Solo che tutto ciò rimane illegale: la proprietà è privata e secondo Lucarella Angelo, nipote di quello della stretta di mano, il diritto pubblico è superiore, ma deve essere corrisposta un’indennità corrispondente al danno. Il suolo è di vitale importanza per l’azienda e la somma predisposta dall’amministrazione è troppo bassa.

Alla fine il Leviatano è intervenuto con la sua forza bruta a risolvere una questione che aveva le carte in regola per degenerare. Ma che non è detto che tutto questo sia finito qui…

[youtube=http://www.youtube.com/watch?v=ZsU96ytMQhg]

Il distretto dove lo metto?

Nulla di fatto per la sede del distretto sociosanitario: la ASL chiede chiarimenti e nel frattempo si aspettano i risultati della gara d’appalto.

L’ingegnere della Asl rischiava di fare la fine della sposa di Pulsano: tre quarti d’ora ad aspettare che qualcuno del Comune si facesse vivo. Tre quarti d’ora al sole in via Ceglie in attesa che l’ingegnere Ceppaglia si presentasse all’appuntamento preso davanti all’assemblea di cittadini, sindacati e associazione il giorno prima, durante l’animata riunione sulla sede del distretto sociosanitario. «Ci vediamo all’una domani, così vediamo insieme l’area e firmiamo le carte!», così concluse l’incontro il sindaco Palazzo, finalmente contento di un accordo. Il giorno dopo però all’incontro si presentano un geometra comunale e il consigliere Emiliano Nardelli che indicano ai tecnici ASL la particella scelta ma non presentano alcuna documentazione riguardante: niente planimetrie, niente mappe, niente riferimenti. I tecnici tornano a Taranto con un pugno di mosche e immediatamente parte nei confronti del Comune una lettera in cui si pretende della documentazione dettagliata. L’ufficio tecnico afferma di aver inviato il materiale ma agli uffici della ASL non è ancora pervenuto nulla. Moschettini ci dice: «Non è possibile prendere una decisione in merito senza avere delle carte: l’area che ci hanno fatto vedere non mi sembra tutta edificabile, ci sono dei canali e in mezzo ci passa una strada». Per la costruzione della sede del distretto infatti, l’ASL ha chiesto un terreno di almeno dodicimila metri. La costruzione sarà finanziata dai fondi FESR, europei, e Martina è l’ultimo comune a rispondere alla chiamata. In realtà già da dicembre i tecnici fanno sopralluoghi: il primo al Pergolo, dalle parti del Palazzetto dello Sport, ma anche lì i tecnici hanno chiesto delle carte che non sono mai arrivate. Dopo qualche mese il comune convoca la cittadinanza, le associazione e i sindacati a decidere insieme di portare il distretto a Monte Tullio. La scelta “condivisa” salta perché si fanno notare le difficoltà di collegamento con l’area scelta, che dista almeno tre km da Martina. La riunione viene aggiornata con la promessa che il distretto non sia un episodio, ma venga inserito in una riflessione globale sui servizi comunali. Infatti il 7 luglio scorso viene nuovamente convocato un incontro per comunicare alla città di aver trovato la soluzione: Ortolini.

E siamo punto e daccapo: i sindacati fanno notare che comunque la struttura è lontana dal centro e quindi la natura stessa della sede del distretto sociosanitario viene meno. La discussione si fa animata: Colasanto, il dirigente dell’ASL di Taranto fa sapere che non possono esprimere un giudizio su qualcosa appresa pochi minuti prima e quindi chiede un sopralluogo, il cui seguito è noto.

Per la costruzione della sede i tempi previsti, secondo i tecnici dell’ASL è di almeno tre anni, nel frattempo quindi l’Azienda Sanitaria stanzia dei fondi per l’affitto di un immobile che ne faccia temporaneamente le veci. Alla gara si presentano i tre. In una nota scritta del 21 maggio scorso, la ASL chiede al Comune di Martina di esprimersi relativamente all’agibilità pedonale del ponte sulla ferrovia, in riferimento alla gara. Il comune, con una nota a firma del dirigente ai Lavori Pubblici del 10 giugno dice: “si comunica che la struttura è fruibile sia dal punto di vista del transito veicolare sia del transito pedonale”. La nota non fa riferimento ai trasporti pubblici e inoltre è in evidente contrasto con quanto affermato nel 1994 dal commissario straordinario Di Caprio riguardo all’agibilità. All’epoca della costruzione del ponte infatti, fu fatto notare che i passaggi pedonali erano troppo stretti (citando testualmente: “varia da un minimo di 48 cm ad un massimo di 54 cm […] risultando la larghezza utile del marciapiedi notevolmente inferiore agli standards minimi di legge”). Per lunedì è comunque prevista la risposta della commissione sulla gara.

Tornando all’area destinata per il distretto, secondo il PRG martinese, le aree destinate a servizi che abbiano un’estensione di almeno dodicimila metri quadri sono diverse, oltre quelle presentate dall’amministrazione, e alcune di loro sono addirittura nella città: la zona Votano, l’area alle spalle della Madonna della Sanità e la zona a ridosso di Via Gramsci nel quartiere Carmine, solo per citarne alcune. Perché non pensare ad alcune di queste come sede del distretto?

Quello che rimane, infine, è il rischio che il distretto sociosanitario Martina Franca – Crispiano rimanga senza sede, a differenza di tutti gli altri comuni jonici che per tempo hanno risposto alla chiamata della ASL.

PS: mentre scrivevamo, siamo venuti a conoscenza dell’autocandidatura a sede del distretto da parte dell’Hotel Dell’Erba, con una lettera indirizzata al sindaco Palazzo, alla ASL e ai sindacati.

FLORIDO VINCE: GOVERNARE CON LA TESTA O GOVERNARE CON LA DESTRA?

L’asse D’Alema – Casini mostra i primi risultati: allearsi con la destra per sconfiggere le destre.

Florido ha mantenuto il controllo della Provincia. Per farlo ha dovuto, al secondo turno, allargare la propria coalizione a Fisicaro e a Stefàno e a pezzi del gruppo che sosteneva Tarantino. Ha realizzato, con questo schema, quel “laboratorio” scaturito dall’asse D’Alema – Casini, una sorta di fronte democratico contro la deriva berlusconiana della società, e ha dimostrato che l’alleanza di tutti i partiti in funzione anti PdL funziona. Cioè, il gruppo eterogeneo di simboli e personaggi riesce a prendere più voti che i partiti della maggioranza di Roma. Il genio di D’Alema però sembra sprecato in quest’operazione, dato che sarebbe bastato fare una semplice somma delle percentuali delle singole sigle per capire che Berlusconi e i suoi in Italia hanno tutto fuorchè la maggioranza. La scommessa di questo “laboratorio”, che vince  anche a Bari città, si basa essenzialmente nel creare una sorta di gramsciano “blocco democratico” per contrastare l’avanzata delle destre populiste e autoritarie.

Della bontà del progetto, del suo nobile fine, non si hanno dubbi: il CLN metteva insieme democristiani e comunisti, oltreché liberali e repubblicani, riuscendo infine a scacciare i fascisti, ma sul fondo giace una forte differenza tra il ’43 e il 2009. Nel secolo scorso la crisi dello stato di diritto era fortemente sentita, accentuata dall’entrata in una guerra suicida al fianco di un dittatore sanguinario. Gli italiani erano sì disperati, ma erano anche educati attraverso sotterfugi ai divieti di parlare di politica da parte del regime a raggrupparsi, a pensare collettivi ad essere comunità. Ora invece, grazie alla parcellizzazione della società che sostituisce la playstation alla sala giochi, internet ai circoli di partito, la sensibilizzazione delle masse è difficile e la creazione di un reale fronte democratico è un’impresa ardua. L’operazione Florido, in cui dalla sera alla mattina affianco delle falci e martello c’erano scudi crociati ed ex della Fiamma Tricolore, non sembra basarsi su una reale discussione politica che mette alla base del compromesso il male minore, ma ha l’aria di essere una mera addizione di cifre per mantenere il sedere sulle poltrone. Che questo poi significhi evitare di consegnare la Provincia a Fitto e ai suoi, diventa conseguenza e non fine. Pare. Stando alle dichiarazioni dei diretti interessati non è così. Pasquale Lasorsa, consigliere comunale di Martina, candidato nella lista Io Sud, un passato alla destra di AN, e un primo turno alle provinciali a fianco di Cito, schierarsi con Florido è: «La scelta migliore, dato che a livello locale le ideologie del novecento possono essere messe da parte in nome del bene comune. È ovvio che non era possibile appoggiare una coalizione che comprende i diretti responsabili del dissesto di Taranto e della situazione squallida in cui versa Martina Franca». L’alleanza in nome del buongoverno, che mette da parte le differenze per lavorare insieme al bene comune. Ma quale? È impossibile pensare che non ci siano differenze tra il piano regolatore pensato dalla corporazione degli imprenditori edili da quello degli ambientalisti. Ed è solo un esempio. Non vorremmo essere nei panni di Florido quando dovrà nominare gli assessori.

Francesco Brigati, di Rifondazione Comunista, che ha scelto dopo l’ingresso dell’Udc e di Io Sud di passare all’opposizione, fa un’analisi diversa della questione, partendo dalla pratica attuata per l’apparentamento: «Noi non eravamo per niente d’accordo all’entrata dell’Udc nella coalizione, lo abbiamo ripetuto fin dalle prime riunioni. Ma nonostante la lealtà dimostrata a Florido e alla coalizione, la notizia dell’apparentamento ci viene comunicata a cose già fatte. Questo dimostra che l’alleanza non è in base a convergenze politiche, ma è un gioco di potere per mantenere le poltrone»

Il gioco di potere sarebbe stato quello di fare un’iniezione di destra in un centro sinistra che non riesce a vincere, appesantito da un PD che non sa se è pesce o carne, e dai piccoli feudi personali da difendere ad ogni costo. Un’iniezione che lungi dall’essere vaccino contro l’avanzata delle destre, somministrando un poco di esse per creare anticorpi, si dimostrerà invece una diffusione dei loro antigeni.

Da quaggiù invece, il dato più allarmante rimane comunque l’astensionismo, fortissimo e ormai in ascesa, che dimostra il disagio dei cittadini, di chi non è ricattato, di chi non è fortemente ideologizzato, di non sentirsi più rappresentato da nessun partito, da nessuna coalizione, da nessun politico. È l’altro lato della medaglia che vuole che i politici siano solo buoni amministratori, burocrati imperiali, impiegati di sportello del sistema e dall’altro la massa critica dei cittadini che, avendo già capito questo, non si scapicollano per andare a votare chi avrà solo il compito di firmare e timbrare fogli. È la cancrena di un regime che si sta afflosciando sulle sue stesse regole. L’astensionismo, il disagio dei cittadini di cui è campanello d’allarme, pretende altre forme di partecipazione, più libere, democratiche, che facciano diventare le esigenze territoriali non già argomenti scontati sull’ampiezza di una strada ma discussioni sul futuro dei territori.

I cittadini sono più avanti, e si stanno iniziando a stancare di aspettare che i propri rappresentanti li raggiungano.

E PER CASA UN TETTO DI STELLE

Dopo sei mesi scade la convenzione tra la Prefettura e la Croce Rossa. Nessun futuro certo per i rifugiati ospitati presso il Dell’Erba di Martina Franca.

Dopo sei mesi di permanenza discreta, i cento richiedenti asilo ospitati presso l’Hotel Dell’Erba di Martina andranno via. Così come al loro arrivo, improvviso e silenzioso, così alla loro partenza, decretata per la scadenza della convenzione tra la Croce Rossa, che gestisce il centro e la Prefettura, che paga da parte del Governo, tutto accadrà nel silenzio più perfetto.

Strana storia quella dei migranti martinesi, che all’inizio non sapevano nemmeno dove fossero ed erano circondati da persone che nemmeno sapevano chi fossero. Erano vestiti tutti uguali e giravano per la città lungo Corso Italia e tutti li scambiavamo per una squadra di pallone. Poi iniziarono a girare alcune voci sulla loro reale identità fin quando a metà dicembre non decidono di manifestare in piazza per chiedere più diritti. Dopo due settimane di permanenza a Martina Franca un gruppo di loro capisce che c’è qualcosa che non va: vengono convocati i giornalisti e con gran pacche sulle spalle ci viene comunicato che è tutt’apposto. Tutt’apposto perché i manifestanti sono ragazzi, che bisogna capirli, che non hanno capito come funziona la questione, che non dipende da noi, ma da altri, che noi già abbiamo fatto di più di quello che ci spettava. Già, ma cosa?

Con l’ordinanza del Presidente Berlusconi del 12 settembre del 2008, vengono istituiti dei CARA (centri di accoglienza per richiedenti asilo) supplementari, in ausilio del sistema presente perché il numero degli sbarchi durante l’estate è nettamente aumentato. L’ordinanza prevede che si trovino delle strutture, in tutto il paese saranno una sessantina, per ospitare diecimila migranti in attesa che la domanda di asilo venga vagliata dalle commissioni territoriali. Un implemento dell’accoglienza notevole, con una spesa complessiva di milioni di euro. La convenzione tra la Croce Rossa di Taranto e la Prefettura prevede una spesa giornaliera di 47 euro a persona, che dovrebbe comprendere vitto alloggio e tutti i servizi che il Ministero dell’Interno prevede per una buona accoglienza: mediazione interculturale, mediazione linguistica, corsi di lingua, supporto legale, supporto socio psicologico, assistenza sanitaria, acquisto di vestiti e di beni di prima necessità. In sei a Martina è arrivato circa un milione di euro con cui la Croce Rossa ha reso possibile l’accoglienza dei migranti.

L’ordinanza del 12 settembre però, è in deroga a tutta la legislazione italiana sull’immigrazione: l’incremento degli arrivi ha fatto scattare un’emergenza che, per essere risolta, il Governo decide che la legge normale non basta. I centri governativi di accoglienza, che poi assumono lo status di CARA, vengono aperti in fretta e furia e affidati alla gestione di enti, per la maggior parte ecclesiastici, senza nessuna gara di evidenza pubblica, vengono assegnate delle somme abbastanza alte (di solito per l’accoglienza dei migranti la somma quotidiana procapite è nettamente inferiore) e si lascia tutto al buon cuore di chi gestirà il posto, perché la convenzione non specifica i capitoli di spesa, non dice quanto viene riconosciuto alla struttura ospitante (in questo caso il Dell’Erba), non dice quanto bisogna spendere per i corsi di italiano, per esempio. E soprattutto non prevede una rendicontazione finale, in base alla quale verificare le spese. Diventa probabile che una cosa del genere si possa trasformare in un affare lucroso, se non conoscessimo le pie intenzioni degli enti che si fanno carico della questione, basterebbe avere a disposizione dei volontari anche non qualificati che lavorino gratis, acquistare materiale di scarsissima qualità, ad esempio scarpe da ginnastica che durano meno di dieci giorni, affidarsi per i corsi di italiano a insegnanti in pensione, e qualcosa in tasca rimane.

A questo però si deve aggiungere che i soldi stanziati dal Governo per l’accoglienza dei rifugiati, sono solo per la prima accoglienza, per i CARA, mentre a tutta la rete SPRAR, che gestisce i centri di seconda accoglienza, fondamentali per l’inclusione e l’integrazione, vengono tagliati i fondi. Il migrante in pratica arriva in Italia, viene lavato stirato controllato e interrogato e infine marchiato buono o cattivo. Poi viene sbattuto in strada al suo destino, con pochissime prospettive di sopravvivenza legale. I centri SPRAR servivano appunto ad accogliere i rifugiati e a trovar loro casa e lavoro, con l’attivazione di una rete di realtà associative e cooperative e istituzionali. Ai ragazzi che sono a Martina una cosa del genere non accadrà. Il 30 maggio scade la convenzione: sbattuti fuori dall’hotel, saranno in balia degli eventi, delle relazioni che sono riusciti a mettere su in questi mesi, delle persone che offriranno loro un lavoro più o meno regolare e di chi deciderà loro di affittare una casa. Dal 30 maggio, in pratica, sarò probabile vedere decine di ragazzi che non sapranno dove dormire, che mangiare, come lavarsi, cosa fare. Per questo motivo la Prefettura ha convocato un paio di settimane fa il Comune di Martina, la Provincia e alcuni enti tra cui Babele di Grottaglie, che gestisce un centro SPRAR, la Croce Rossa e la Caritas. In questa riunione si doveva trovare una soluzione immediata per il futuro dei ragazzi, e si è proposto di trovare una somma per permettere loro di andare dove vogliono, se vogliono oppure di affittare una casa per un mese. Somma che secondo Babele si dovrebbe aggirare a non meno di cinquecento euro a persona, da dividere tra Comune e Provincia. Nessuno però vuole farsi carico dell’onere, il Comune ha dato la disponibilità per diecimila euro, ma sarebbero davvero insufficienti. La Provincia è in campagna elettorale e non esistono realtà in grado di occuparsi in maniera strutturata della questione.

I ragazzi dell’hotel, di cui più della metà ha ottenuto il permesso di soggiorno, sapranno affrontare quest’altra difficoltà, dopo deserti e torture, perdere un tetto sulla testa e il cibo ogni giorno potrebbe essere un’inezia.  Ma i martinesi, sapranno conviverci?

Il popolo dei senza libertà, secondo una ONG Usa, siamo ultimi in Europa

Ecco pubblicata la classifica di Freedom House sulla libertà di stampa nel mondo, e come sospettavamo l’Italia non è tra i paesi in cui i giornalisti sono liberi di scrivere quello che vorrebbero. Dire che non ce ne fossimo accorti sarebbe ipocrisia, ma che la notizia arrivi da un centro studi diciamo che un po’ fa riflettere.Ma fa riflettere il fatto di come la notizia sia stata riportata dai media, i soliti, un trafiletto sperso tra le pagine e i commenti sul divorzio di Veronica da Silvio, una lieta notizia ambientata ad Onna, e l’influenza suina che a quanto pare è stata sconfitta prima che si propagasse. Certo, direte voi, se fossimo in un paese libero, la notizia non verrebbe data perchè non è una notizia, oppure sarebbe data con squilli di tromba e con dibattiti infiniti. Invece, e questo è proprio il simbolo di quello che accade in Italia, una notizia terrificante come questa viene data con nonchalanche, tipo: “ah, a proposito, non viviamo in un paese libero…”.

Intanto, le motivazioni per cui l’Italia viene posizionata dopo il Benin e il “civilissimo e democratico” Israele, sono queste:

“The region registered one status downgrade in 2008, as Italy slipped back into the Partly Free range thanks to the increased use of courts and libel laws to limit free speech, heightened physical and extralegal intimidation by both organized crime and far-right groups, and concerns over media ownership and influence. The return of media magnate Silvio Berlusconi to the premiership reawakened fears about the concentration of state-owned and private outlets under a single leader”.

In pratica, dicono questi tipi, oltre che un po’ di leggi fatte per rendere il lavoro di cronista più burocratizzato e farraginoso, ci si mette anche Berlusconi e il suo dannatissimo et sempiterno conflitto di interessi. Non siamo un paese libero perchè prima di essere capo del governo il Nostro controllava quasi tutti i giornali e le tivvù.

E non sono usate parole miti, ma: il risveglio delle paure di una concentrazione di potere nelle mani di una sola persona…

E allora, direte, che si fa? Si fa che si inizia a guardarsi intorno alla ricerca di alternative (Officina sarà o non sarà edita da Mondadori?), oppure, e questo sarebbe già una cosa bella in sè, potremo iniziare di nuovo ad indignarci profondamente perchè c’è qualcosa che non va. Qualcosa non va nel Paese in cui la Liberazione diventa Libertà, qualcosa non va nel Paese in cui governa il Popolo della Libertà, qualcosa non va in una democrazia che divide il popolo in quelli che vogliono la Libertà e quelli che sono Democratici. Qualcosa non va se si sente il bisogno di scrivere queste parole.

Ecco il link della Freedom House dove c’è la statistica dei paesi liberi e le motivazioni.

Riccardo sta bene, estratte 2 delle 3 pallottole

L’operazione a Riccardo, colpito da tre colpi di pistola durante una serata al Cloro Rosso di Taranto da due balordi incappucciati, è andata bene, dicono i medici. L’intervento è durato dalle 7:30 di stamattina fino alle 18:00 e solo due delle tre pallottole sono state estratte. Ci vorrà un’altra operazione per togliere l’ultima pallottola. Al più presto altri aggiornamenti.

Attentato al Cloro Rosso

Non è nostra abitudine pubblicare comunicati stampa, ma data la gravità della situazione e la scarsità, ancora, di notizie, riteniamo opportuno farlo. Prima di tutto per esprimere tutta la solidarietà al ragazzo ferito, poi a tutti i compagni che in questo ultimo anno sono riusciti a mettere in piedi una perla di partecipazione in un territorio come quello di Taranto, squassato da crisi economiche che si susseguono e usato a mo’ di bambola gonfiabile dalle gerarchie militari, dai potentati industriali, dalle famiglie mafiose e dalla massoneria. Qual è il limite che li separa? Dove finisce un’organizzazione e inizia un’altra? Non è chiaro, per diversi motivi, ma i ragazzi del Cloro Rosso erano probabilmente riusciti ad infilarsi in quell’interstizio rimasto libero dalle brame padronali e hanno iniziato a spingere, sempre più, col rischio reale di creare qualcosa di nuovo, che potesse rompere con il passato e che portasse verso un futuro migliore. Per tutti. Questo, forse, avrà dato fastidio e l’incombenza della campagna elettorale ha reso necessario l’intervento armato, non tanto per punire, ma per spaventare e per far sottoporre a sequestro il centro sociale. Chi sono i mandanti? Forse basta vedere le facce appese al muro che promettono un futuro migliore, forse basta aprire i giornali e leggere le loro dichiarazioni su qualsiasi argomento. Forse basta guardarsi allo specchio…

Ecco il comunicato stampa di Franco Gentile, segretario provinciale del PRC

Comunicato stampa

A tutti gli organi di stampa

Il Partito della Rifondazione Comunista esprime la sua piena e convinta solidarietà ai compagni del Centro Sociale Cloro Rosso di Taranto vittime di un vile attentato di chiaro stampo mafioso.

Nella nottata appena trascorsa energumeni incappucciati hanno sparato all’interno del centro sociale ben sette colpi di pistola, tre dei colpi sono andati a segno ferendo un giovane compagno agli arti inferiori, per una pura casualità è stata sfiorata la strage.

La malavita del posto ha ottenuto il suo scopo, far chiudere il centro sociale (sottoposto a sequestro giudiziario) che nella sua attività di recupero sociale e culturale del quartiere è diventato chiaramente un ostacolo alle attività illecite.

Ora bisogna dire basta. Da mesi è in atto un pressing a tenaglia contro le attività del centro sociale da parte di forze politiche di destra ma anche di settori moderati e “benpensanti”, frange di istituzioni e della stragrande maggioranza della stampa “borghese” che oggi spero abbiano la decenza di provare un minimo di vergogna per l’opera di diffamazione costante nei confronti delle attività del centro.

Ora siamo alla quadratura del cerchio: la diffamazione continua e costante si è saldata con la malavita ed il risultato è sotto gli occhi di tutti.

Diciamo la verità il centro sociale dà fastidio perché è in grado di mobilitare migliaia di giovani a salvaguardia della salubrità dell’ambiente, nelle lotte a difesa del lavoro o contro il carovita, nella narrazione e costruzione di un pensiero libero ed alternativo per questo va soppresso con le buone (facendolo chiudere aggrappandosi a cavilli giuridici) o con le cattive (attraverso attentati in stile mafioso).

Rifondazione Comunista auspica una rapida ripresa delle attività del centro sociale ed invita tutte le forze politiche/sociali democratiche e popolari e le istituzioni ad una mobilitazione generale a difesa della democrazia, della legalità e del Cloro Rosso che in questi mesi si è dimostrato autentico baluardo di questi valori.

FRANCO GENTILE segretario prov. Prc

L’impossibilità di essere informati: le gaffe di Berlusconi tra le macerie d’Abruzzo

Secondo il New York Times, Berlusconi in Abruzzo ha sparato gaffe a raffica. In Italia si è saputo solo che il Premier ha consigliato ai senzatetto aquilani di considerare lo stile di vita tipo profugo come se fosse un weekend al campeggio. I quotidiani italiani hanno riportato la notizia perchè era sulle prime pagine dei giornali esteri. Cazzeggiando su internet, sul sito del New York Times, si scopre che le gaffe ammontano a tre nella stessa giornata. Secondo il più diffuso quotidiano americano, la più grave è quella nei confronti di un volontario della Croce Rossa di origine africana, un prete a quanto pare, a cui ha detto: «Hai un’abbronzatura niente male. Vorrei stare io qui e prendere un po’ di sole…». Poi, accortosi dell’idiozia ha cercato di rimediare abbracciandolo: «Stringimi forte e chiamami Papa».

Il secondo episodio che riporta il NYT, è successo all’inizio della stessa settimana. Il premier ha incontrato un medico donna, Fabiola Carrieri dicono alcune cronache e le ha detto: «Come vorrei essere resuscitato da lei».

A questo punto rimane il dubbio del perchè per arrivare a sapere di questo devo fare una triangolazione spaziale tra Martina Franca e New York e poi dover tradurre tutto. Naturalmente la notizia è stata riportata dal sito italiano www.italiadallestero.info. E basta.

Sono sciocchezze, d’accordo, l’ennesima prova da biricchino di un buontempone che casualmente è l’uomo più potente d’Italia. E la stampa italiana non ne parla forse perchè è abituata, non ci fa caso, perchè altrimenti dovrebbe riportare anche le battute del Bagaglino, o magari si vergogna a scrivere del Primo Ministro e dire queste cose. Ma questo fa riflettere anche sullo stato dell’informazione, di ciò che non passa e di ciò che passa, di quello che accade accanto a noi e non sappiamo. Come si fa a fidarsi di un’informazione a metà che dipinge Berlusconi, anche quando lo attacca, come qualcuno che va e risolve, mentre è palese l’incapacità da parte del Governo di provvedere ad alcunchè tranne che nelle zone in cui sono presenti le telecamere? Dell’Abruzzo non sappiamo nulla, nessuno dice nulla di sensato, alcune domande rimangono senza risposta:

1) Gli abitanti conoscevano le procedure di sicurezza da applicare in caso di terremoto. Questo fa pensare al fatto che erano preparati, che qualcuno avesse detto loro che poteva accadere.

2)La  mattina del lunedì, intorno alle 7:00 si vedevano sul posto solo giornalisti, nessun soccorritore. Come hanno fatto ad arrivare prima le televisioni e poi i pompieri? Durante la notte di domenica, dov’era la Protezione Civile?

3)Gli sfollati: chi è andato in albergo? Chi in tenda? Ci sono alcuni che non hanno trovato posto?

4)Gli immigrati irregolari, non registrati da nessuna parte, dove sono? Che fanno?

Il buon affare dei misteriosi africani di Martina Franca

Questo articolo è stato pubblicato sull’Almanacco Clandestino di Carta il 10 Aprile 2009. Tre giorni dopo, a Pasqua, sulla Gazzetta del Mezzogiorno esce un interessante reportage sulla stessa vicenda, ma dai toni nettamente diversi.

Riteniamo importante segnalare che da quando l’articolo è stato redatto a quando è stato pubblicato la Croce Rossa si è fatta carico del documento di viaggio.

Ecco l’articolo di Carta

Quando arrivarono a Martina, ognuno aveva le proprie teorie su chi potessero essere. Alcuni dicevano fossero dei giocatori stranieri venuti in trasferta, per il calcio o per la pallavolo. Altri dicevano fossero turisti oppure studenti in gita. Nessuno aveva un’idea precisa: sarà perché erano vestiti uguali, sarà perché erano per la maggior parte giovanissimi oppure sarà stato perché le amministrazioni non hanno fatto nessun cenno alla cittadinanza riguardo questa novità. Ad un certo punto di fine ottobre ci siamo trovati in casa cento ragazzi spaesati che non sapevano dove fossero, in mezzo a persone che non sapevano chi fossero. L’unica certezza era che alloggiavano presso l’Hotel Dell’Erba, struttura alberghiera a tre stelle, che di solito ospitava congressi e qualche turista di passaggio. Attraverso i giornali si è scoperto che, a causa dell’ingente numero di sbarchi a Lampedusa, i posti nei centri di accoglienza erano terminati e il Governo, tramite le Prefetture, aveva stretto accordi con strutture private per ospitare i richiedenti asilo. In provincia di Taranto, Federalberghi aveva messo a disposizione due strutture, una a Castellaneta Marina e una, il Dell’Erba, a Martina Franca, la prima gestita dalla Caritas e la seconda dalla Croce Rossa.

La presenza dei cento africani a Martina Franca non si fa notare, fino a quando a metà dicembre il gruppo degli eritrei non organizza una manifestazione spontanea in piazza, con cartelli scritti in un italiano approssimativo, in cui chiedevano la possibilità di avere un «pocket money», oppure schede telefoniche e sigarette e, soprattutto, notizie riguardanti la loro richiesta di asilo.

La manifestazione dura pochi minuti, il tempo che intervengano le volanti della polizia per scortarli poi nell’albergo. La notizia si sparge e in breve viene convocata una conferenza stampa all’interno del centro per chiarire che le cose vanno nel migliore dei modi, e che la manifestazione è stata causata dalla pretesa degli ospiti di ottenere cose che non spettano loro. Chi parla è Domenico Maria Amalfitano, presidente del comitato provinciale tarantino della Croce Rossa, ex parlamentare DC, che spiega che la presenza e i servizi ai richiedenti asilo presso il centro di Martina Franca, sono regolati da una convenzione tra la Croce Rossa e la Prefettura di Taranto, che l’hotel è temporaneamente trasformato in Centro di Accoglienza per i Richiedenti Asilo [CARA] e che si stanno muovendo per dare agli ospiti tutto quello che serve perché possano sentirsi accolti. La prima cosa è l’assistenza sanitaria, attraverso una convenzione con la ASL. Nonostante la legge italiana lo preveda a prescindere. Tutt’apposto dunque, ci assicura il presidente, la protesta – secondo lui – nasce da un’incomprensione da parte dei ragazzi che pretendono cose che non sono previste dalla convenzione.

Questa parola, “convenzione”, in questa storia riemerge sempre più a sostituire il termine “legge”: i servizi sono offerti secondo la “convenzione”, i corsi di italiano sono fatti perché lo prevede la “convenzione”, i vestiti sono acquistati in base alla “convenzione”. Nessuno parla di legge, ma di un accordo di cui è difficilissimo entrare in possesso, magari solo di sfuggita per una rapida occhiata, giusto per capire quali sono i diritti degli «ospiti» dell’albergo. L’unica cosa che si comprende è che tutto quello che sta accadendo è di natura straordinaria ed emergenziale, ma anche che traccia un orizzonte di cambiamento nel sistema dell’accoglienza dei migranti.

Secondo i dati forniti dall’Anci nel dicembre dello scorso anno, i richiedenti asilo in Italia nel 2008 erano quasi 27 mila, triplicati rispetto a tre anni prima. Questo significa che il sistema di protezione ed inclusione che comprende i centri di prima e di seconda accoglienza, i centri di accoglienza per richiedenti asilo (C.A.R.A.), tutto il sistema dello S.P.R.A.R., non è sufficiente a rispondere all’incremento della domanda. Per questo, con il decreto del 12 settembre 2008, il Ministero dell’Interno estende lo stato di emergenza per l’eccezionale afflusso di migranti a tutto il territorio nazionale e, attraverso un’attenta ricerca sul territorio, individua circa 60 strutture da destinare a centri di accoglienza per un totale di 10.488 posti, tra cui Martina Franca e Castellaneta Marina. Nella maggior parte dei casi, questi centri sono strutture alberghiere messe a disposizione dalla categoria e dati in gestione a enti ecclesiastici e laici. Il provvedimento non è un’improvvisazione, ma sembra il rispolvero di un progetto del 1999 chiamato “Azione comune”, che aveva come capofila il CIR e come partner, tra gli altri, ACLI, Caritas, CTM – Movimondo, CISL, UIL, come finanziatori la Commissione Europea e il Ministero dell’Interno, e come obiettivo l’accoglienza dei richiedenti asilo che facevano richiesta nel nostro paese. All’epoca i numeri non erano quelli di oggi e l’esperienza di accoglienza non era ancora strutturata. Il progetto prevedeva l’accoglienza in piccoli o medi centri, assistenza sanitaria e consulenza psicologica e sociale. Proprio quello che accade nell’albergo. Ma se il progetto “Azione comune” si è poi evoluto nel sistema S.P.R.A.R., l’ordinanza del Presidente del Consiglio del 12 settembre rappresenta un evidente passo indietro.

Ad ascoltare le opinioni dei ragazzi ospitati, le mancanze da parte dell’ente gestore sono evidenti. «Non siamo animali», ci dice uno di loro, «non abbiamo bisogno solo di mangiare e di dormire». Altri invece sono convinti che la Croce Rossa si metta in tasca tutti i soldi che invece spetterebbero agli ospiti. Una convinzione scaturita dal fatto che i richiedenti asilo ospitati a Martina Franca hanno potuto comparare la loro condizione con le esperienze pregresse di amici o parenti già presenti in Italia. Non solo dormire e mangiare: «I nostri diritti sono altri», ci continua a dire il ragazzo con cui parliamo, «vogliamo sapere a che punto è la nostra pratica presso la commissione, parlare con persone esperte. Se chiediamo alla Croce Rossa, l’unica risposta è:non lo so».

Dice Enzo Pilò, dell’associazione Babele di Grottaglie, che gestisce il progetto per la rete SPRAR “Passi di donna”, che ha verificato più volte le condizioni del centro di Martina, che la mancanza più evidente è rispetto all’informazione legale: i ragazzi non sanno nulla di quello che chiederà loro la commissione territoriale, che documenti avranno, cosa prevede la legge italiana, e soprattutto non sanno che fine faranno. La Croce Rossa sostiene che l’informativa legale è stata fatta, e che un avvocato sta anche seguendo le pratiche dei ricorsi ai dinieghi. Che tipo però di informazione non lo dice, ma può essere ricostruito quanto accade confrontando ciò che dice la convenzione e quello che è stato fatto. Il documento firmato dalla Prefettura e dall’ente gestore prevede che, a parte i bisogni fondamentali, l’ente preveda anche all’assistenza sanitaria, psicologica, sociale e legale e soprattutto ad un servizio di mediazione culturale. Cosa che effettivamente avviene all’interno del centro, ma tutto fatto dai volontari della Croce Rossa e non da personale esperto o qualificato. Una ragazza che parla inglese diventa la mediatrice e un volontario che è avvocato spiega la legge sull’asilo. Una legge che dovrebbe essere distribuita all’arrivo nel centro in almeno cinque lingue diverse e che invece i ragazzi hanno avuto solo in italiano: «Ho avuto questo», ci dice un ragazzo eritreo indicando il malloppo della legge italiana sull’asilo , «ma non so cosa sia».

Dalla convenzione si evince che la spesa giornaliera per ciascun ospite è di circa cinquanta euro, qualcosa in più rispetto allo standard dei centri di accoglienza. Con questa somma l’ente dovrebbe pagare la struttura che ospita, i servizi minimi e quelli previsti dalla convenzione. L’uso del denaro però, è molto discrezionale, sulla convenzione non c’è nessun riferimento a quanto spendere per quale tipo di servizio. L’unica cosa certa è che l’Hotel Dell’Erba è molto caro ma, a quanto afferma la dottoressa Distani, capo di gabinetto della Prefettura tarantina, l’urgenza con cui il ministero ha chiesto di trovare le strutture adatte, non ha lasciato scelta. Per il resto c’è una totale libertà, con l’obbligo però della rendicontazione. Di questo ne siamo certi perché la Caritas di una parrocchia locale, si era proposta di procurare ai richiedenti dei vestiti. La risposta della Croce Rossa è stata che o erano nuovi oppure sigillati, altrimenti niente. A seguito della protesta di dicembre, a cui poi ne è seguita un’altra, dopo poco più di dieci giorni, per gli stessi motivi, la Croce Rossa ha deciso di dare piccole somme di denaro a ciascuno degli ospiti. A Natale hanno avuto quindici euro, un regalo che di tanto in tanto, senza una scadenza fissa, si ripete.

La situazione di precarietà ha prodotto delle reazioni da parte dei richiedenti asilo. A parte le manifestazioni, alcuni di loro si possono vedere in giro a Martina a fare la colletta per le sigarette, a cercare di ottenere informazioni, oppure un lavoro. In maniera diversa, anche a seconda della nazionalità, molti si sono arrangiati. Alcuni dei ragazzi del Bangladesh hanno trovato lavoro presso i fruttivendoli ambulanti, qualcuno invece vende ombrelli o borse per strada. Sull’argomento, le parole del responsabile per la Croce Rossa del centro, che ama presentarsi come colonnello Calò, sono emblematiche: “Questo è un buon ammortizzatore sociale”. Nel frattempo però alcuni di loro hanno ottenuto il riconoscimento, chi di rifugiato chi invece l’asilo politico. Il passo successivo è quello dei documenti, di cui uno fondamentale: il documento di viaggio. Esso sostituisce il passaporto e permette loro di viaggiare. Per averlo però bisogna sborsare una cifra, tra fotografie, bolli e bollettini, di più di sessanta euro. Denaro di cui è difficile che i rifugiati siano in possesso. A questo punto, secondo la prassi, l’ente gestore del centro, si accolla le spese e si prodiga a fornire informazioni. A Martina questo non è accaduto, ed è il colonnello Calò a dare una spiegazione: “Mica questa è un’agenzia di viaggio”. Per le tasse sul permesso di soggiorno invece, solo l’intervento della Prefettura ha fatto sì che fossero accollate all’ente gestore.

Poi ci sono le informazioni. La Croce Rossa sostiene di aver svolto appieno il ruolo, dichiarandosi sempre pronta a fornire agli ospiti spiegazioni e consigli. A parte la buona volontà dei volontari, questo però non spiega come mai i richiedenti asilo si sono presentati in tutti gli uffici di Martina a chiedere cosa si fa, come si fa e quando si fa, rispetto alle pratiche di richiesta di permesso di soggiorno. Sono stati più volte alla Cgil, che si è attivata prontamente, poi alla Cisl. Infine hanno trovato in un’ispettrice di polizia, che li ha presi in simpatia, una porta sempre aperta per tutte le notizie necessarie. Ma non basta. E questo lo si vede appena si arriva davanti al cancello che separa il CARA dal resto del mondo. Si crea un capannello immediato di gente che in un inglese con diverse sfumature chiede notizie, informazioni, rassicurazioni.

La convenzione è stata rinnovata di altri due mesi. Fino al 31 maggio. Poi nessuno sa che cosa accadrà, dato che i centri di seconda accoglienza sono pieni. Nessuno sa fornire una risposta, non la Prefettura che aspetta notizie dal Ministero, non la Croce Rossa che aspetta notizie dalla Prefettura. Di certo rimane che l’esperienza è stata tanto «bella» che Amalfitano pare sia in cerca nel territorio di Taranto di una struttura da trasformare in un centro di accoglienza professionale.