Martina Franca: per la consulta l’assessore chiede aiuto ai clan

A Martina il Clan della Stretta è all’opera per la formazione della consulta giovanile

A Martina Franca un assessore comunale si è rivolto ad un clan attivo nella zona per portare avanti un’operazione politica di non poco impatto sociale: la creazione di un organo di proposizione e controllo dell’operato dell’amministrazione comunale. L’idea, pare, rimbalzasse nella mente di Mario Caroli già da qualche tempo, ma per realizzarla è servito aspettare l’adesione di uno dei tre clan martinesi che, già dall’anno scorso, si è occupato di politica e di cittadinanza attiva. Non è una stranezza che un clan si interessi di cosa pubblica, è noto, ma questa volta l’esperienza maturata in anni di scoutismo, all’insegna dell’impegno civile e sociale, può essere tradotta praticamente con la formazione di una struttura istituzionale aperta a tutti i ragazzi dai 15 ai trent’anni di Martina Franca, che hanno voglia di partecipare. Ma perché un’idea del genere, presente in tantissimi comuni italiani tra cui, uno vicinissimo a noi, a Putignano, possa funzionare, è necessario che l’azione parta dal basso, dai ragazzi appunto, anche se sponsorizzati da un amministratore. E il Clan della Stretta, del gruppo scout Martina Franca 3, in seguito ad un lavoro durato un anno sulla cittadinanza attiva, ha deciso di concretizzare il proprio impegno nella vita politica martinese, raccogliendo la sfida della creazione della Consulta Giovanile. E affinché non appaia strano che un’associazione come gli scout si occupi di politica è bene sottolineare che, in questo caso, non si tratta di beghe partitiche ma di partecipazione attiva alla vita della comunità, a cui tutti, in qualche modo, sono chiamati. E di cui tanti sentono la mancanza, sia perché il sistema attuale rende più difficile l’impegno concreto slegato da questioni elettorali, sia perché l’impegno politico è ormai delegittimato da chi lo mette in pratica, paradossalmente, badando spesso palesemente ai propri affari e poco alla res publica. Da questo la convinzione da parte dei cittadini che impegnarsi è inutile, della serie: «Tanto a che serve?».

I ragazzi degli scout però la pensano diversamente: la loro attività si basa sul servizio e la politica è la forma più alta di servizio. Così, spinti da Caroli, venerdì scorso hanno fatto la prima riunione organizzativa, con le realtà a loro più vicine, gli altri gruppi scout martinesi, l’associazione Partiti a Parte (che comunque è un’altra bella esperienza partita dagli scout) e un paio di rappresentanti della Consulta Vicariale, oltre naturalmente all’assessore. Assente giustificato l’Arci, impegnato quel giorno, ma che ha fornito ai ragazzi un censimento delle associazioni fatto a suo tempo dal Comune, ma che promette di essere sempre presente dalla prossima volta. L’elenco però, a quanto ci racconta uno dei capiclan, non è completo e non fornisce recapiti concreti. Un modo come un altro per sottolineare quello che si sa già, ovvero la mancanza di apertura dell’amministrazione nei confronti della partecipazione dei cittadini, che a lungo andare ha fatto assumere a Palazzo Ducale le sembianze di casa Addams, con i suoi misteri e i suoi segreti.

Per rompere il circolo vizioso cittadini poco attenti – politici inadempienti, Caroli spera che la Consulta venga fatta in tempi ragionevoli dato che, secondo lui, è il momento di avvicinare i giovani alla politica dando loro la possibilità di esprimersi in spazi istituzionalizzati, non solo in occasioni estemporanee. Ma non solo, dato che la Consulta Giovanile, come è concepita negli altri comuni, diventa un organo di controllo dell’operato del Consiglio comunale maggiore, poichè la voce di qualche decina di ragazzi vale sicuramente di più di un comunicato stampa dell’assessore di turno. «I giovani devono essere il soggetto della politica e non più l’oggetto» ci dice Caroli «e per questo c’è bisogno che le scuole, i partiti, le associazioni e tutte le organizzazioni si rendano conto della portata di questa possibilità».

I ragazzi del Clan della Stretta, che ci tengono a precisare che la Consulta non è un’iniziativa esclusivamente scoutistica e di cui faranno parte nella stessa misura di tutti gli altri soggetti, stanno organizzando un secondo, più importante incontro. Nel frattempo però, per aderire  senza aspettare di essere invitato, basta mandare una mail all’Assessorato alle Politiche Giovanili: asspol.giovanili@libero.it

Giuseppe Chiarelli, tra libri, lezioni e il futuro di Martina Franca

Ha fatto arrivare l’università a Martina, ha messo d’accordo i comuni della Valle d’Itria per il riconoscimento Unesco, ma appare poco sui giornali. Chi è e cosa fa l’assessore più attivo di palazzo ducale.

Nell’ormai storica conferenza stampa di Giovanni Marangi, in seguito al mancato svolgimento della Ghironda a Martina Franca, l’indignato imprenditore culturale graziò dalle colpe dell’amministrazione solo l’assessore Chiarelli. Pochi giorni prima, in un’intervista rilasciata a chi scrive, il prof Fornasari dell’Università di Bari riconosceva nell’operato di Chiarelli, un ruolo fondamentale per il riconoscimento di Martina come sede universitaria. Abituati a sentire peste e corna su chi amministra la città, abbiamo deciso di andare direttamente alla fonte per capirne di più.

Giuseppe Chiarelli nel suo studio

Giuseppe Chiarelli nel suo studio

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Dai cappottari all’università

La vocazione tessile della città si è evoluta: a Ottobre parte il corso di Laurea in Scienze e Tecnologie della Moda. Un’occasione per riflettere su un settore in declino.

(pubblicato su Extramagazine del 4/9/2009)

Il corso di laurea in Scienze e Tecnologie della Moda approda a Martina Franca, dopo aver battuto in velocità Barletta e gli altri comuni del nord barese. E quale altro poteva essere l’indirizzo di studi se non quello che da decenni caratterizza a livello industriale il nostro territorio? I cappottari, le confezioni, gli abiti, prodotti che da sempre costituiscono il fiore all’occhiello della produzione martinese, diventano oggetto di studi da parte di un corso interfacoltà (Scienze della Formazione, Economia, Giurisprudenza, Lettere e Filosofia, Scienze Matematiche ,Fisiche e naturali) dell’Università di Bari.

Le lezioni si terranno momentaneamente presso un’ala dell’Itis Majorana, in attesa che la sede definitiva, il Centro Servizi per il Tessile in piazza D’Angiò, sia pronta. «Il Majorana è stato scelto per motivi logistici» ci spiega il dottor Fornasari docente di Pedagogia Sociale e Interculturale, già assessore di una delle giunte tecniche di Palazzo, che ha seguito passo passo l’apertura del corso per conto del Preside Laneve, «è facilmente raggiungibile dalla stazione ed è servito dai mezzi pubblici. Considerando che in totale servono due aule e una stanza che faccia da segreteria, per un totale di 150 mq, lo spazio è sufficiente. I laboratori previsti si svolgeranno all’esterno, presso alcune aziende che già ci hanno dato disponibilità. E non sono solo aziende di Martina, ma anche di Locorotondo».

Secondo Fornasari, l’apertura del corso rappresenta: «un evento che si riallaccia alla tradizione locale, permettendo da un lato di poter accrescere il patrimonio di conoscenza dell’imprenditoria e dall’altro di fornire uno sbocco professionale a chi si accosta al mondo della moda. Le materie di studio passeranno dalla chimica dei tessuti al marketing, permettendo agli studenti di seguire ogni passaggio della produzione degli abiti, partecipando con cognizione ai processi produttivi. Il comune di Martina Franca, capendo immediatamente la grande opportunità, si è attivato, attingendo ai fondi dell’Area Vasta per rendere agibile la sede definitiva, il Centro Servizi per il Tessile. È notevole il contributo dato dall’assessore comunale Giuseppe Chiarelli che ha fatto da coordinatore e si è battuto molto per non perdere l’opportunità».

Il prof. Alberto Fornasari

Il prof. Alberto Fornasari

La partenza del corso è prevista per ottobre, ma finora le iscrizioni al primo anno sono state scarse: «A voler essere chiari, non importa il numero degli iscritti al primo anno» continua Fornasari «dato che il corso non è nuovo, ha solo un’altra sede. Se facciamo la somma degli iscritti al secondo e al terzo anno, abbiamo un totale di circa novanta studenti che verranno a Martina all’università»

L’accoglienza data al corso universitario dal Comune di Martina, non si esprimerà solo a parole. Il ruolo che spetta all’amministrazione, oltre a quello di coordinare le istanze dell’Università di Bari con gli imprenditori locali e risolvere i problemi degli studenti (trasporti, spazi riservati allo studio, alloggi per chi è fuorisede), sarà quello di contribuire economicamente, secondo gli impegni presi, affinchè la sede presso il Centro Servizi sia ultimata il più presto possibile. Certo i soldi saranno presi dai capitoli dell’Area Vasta, ma il fatto di essere stati sensibili verso l’università, dimostra uno spiraglio di luce nella storia di un’amministrazione poco attenta alle esigenze della comunità locale. L’apertura del corso di laurea sulla moda a Martina potrebbe essere l’inizio del rilancio di un settore, quello tessile, che da anni rotola in declino e che da qualche mese subisce l’aggressione violenta della crisi economica: secondo Giuseppe Massafra, della Filtea-Cgil, l’apertura del corso potrebbe essere utile per mettere in atto tutte le strategie possibili per rilanciare il settore, fornendo agli imprenditori gli strumenti per potersi presentare sul mercato internazionale più competitivi. Finora l’amministrazione, nonostante sia stata richiamata ai suoi doveri dalle forze sindacali e da Confindustria, non ha messo in atto nessuna significativa iniziativa per contrastare il poderoso aumento dei disoccupati e la chiusura di metà delle aziende tessili presenti sul territorio. Il corso di laurea, lungi dall’essere un modo per risolvere la crisi, fornirà da un lato il naturale sbocco formativo per le scuole professionali locali e, dall’altro, la possibilità svecchiare un settore in disfacimento.

La risposta della sovrintendenza e il comunicato originale della General Trade

Aggiornamento del caso PDCI – Cassano – Padre Pio (non necessariamente in quest’ordine)

La sovrintendenza dei Beni Culturali della Provincia di Taranto, attraverso l’archittetto Resta, sostiene che da parte loro non c’è stato nessun pronunciamento per la nuova statua perchè hanno chiesto al Comune il relativo progetto che ancora non è arrivato. Nel frattempo il Comune ha deciso di piazzare il Santo con tutto quello che poi è successo…

Grazie all’amico Ottavio Cristofaro, possiamo pubblicare interamente il comunicato stampa prodotto dagli operai della General Trade in solidarietà alla famiglia Cassano.

comunicato stampa dipendenti gt-1

In nome di Padre Pio…

Un momento della benedizione della statua di Padre Pio donata dalla famiglia Cassano alla città di Martina Franca

Un momento della benedizione della statua di Padre Pio donata dalla famiglia Cassano alla città di Martina Franca

Da pochi giorni a questa parte, in città sta accadendo un fatto non troppo bello: la polemica sulla nuova statua di Padre Pio è degenerata in una battaglia a colpi di comunicati stampa tra il PDCI di Martina Franca e i dipendenti della General Trade. In questa impari lotta, i giornali locali hanno avuto un ruolo determinante nella demonizzazione del partito a favore della causa di Cassano e dei suoi dipendenti. Quello che è accaduto dimostra che per trovare giornalisti embedded non c’è mica bisogno di andare in Afghanistan al fronte con i marines, basta farsi due passi sullo stradone la domenica mattina. Non è accettabile ulteriormente la maniera in cui la realtà viene distorta. Probabilmente, ci piace pensare, non è possibile esercitare la professione della verità in realtà molto piccole e spesso compromesse come quella di Martina Franca. Probabilmente non è volontà personale inzerbinirsi al punto di rendersi complici del male in cui si dibatte la città.

Per questo, per dovere di cronaca, pubblichiamo integralmente il comunicato stampa del PDCI di Martina Franca, per fornire uno strumento di discernimento ai tanti a cui sta ancora a cuore la sorte di questa società.


“Scherza con i fanti ma lascia stare i santi!

E così la famiglia Cassano, benefattrice della comunità martinese, in quanto con le sue aziende dà lavoro a migliaia di persone, ha donato alla collettività la statua di Padre Pio, sistemata in una piazza centrale della nostra amena cittadina. Precisamente lì dove una volta sorgeva “l’incantevole” palazzone sede del mercato coperto, poi caduto in disuso ed in seguito fatto abbattere, un po’ di anni fa, trasformando appunto l’area in una simpatica piazzetta, da una solerte amministratrice comunale, proprietaria di immobili ubicati guarda caso proprio lì, che acquisivano così notevole valore economico.

La cerimonia, con tanto di banda, santa messa e benedizione del monumento, è stata naturalmente preceduta da affissione di manifestini pubblicitari dell’iniziativa, in cui si sottolineava che  l’opera, era appunto un dono della famiglia più ricca (forse) e famosa di Martina Franca.

Come nel medioevo, quando grazie ai mecenati, alle grandi famiglie che dominavano nei vari staterelli,in cui era divisa l’Italia, si finanziavano opere di pregio e grande valore artistico per il solo gusto di lasciare un segno della propria potenza.

Allora, Chiesa e Nobiltà si spartivano potere e privilegi, dominando su un popolo dalle precarie condizioni di vita, preda della superstizione e dell’ignoranza; oggi, in condizioni completamente diverse, ma con una crisi che colpisce soprattutto i ceti meno abbienti, chi detiene il potere economico si ingrazia la Chiesa e utilizza la fede religiosa, per continuare a ricavare profitti ingenti sulla pelle di chi, affamato di lavoro, accetta di svendere la propria forza lavoro e di essere sfruttato ogni giorno per nove, dieci, undici ore, con un salario di fame. Tanto se qualcuno decide di andare via, altri dieci sono pronti a prendere il suo posto. Anche perché, se non lavori da Cassano, a Martina, dove lavori? Da Scatigna, o in qualche ditta di confezioni, nelle stesse condizioni: con la lettera di licenziamento già firmata all’atto dell’assunzione ed una busta paga regolare “sulla carta” ma con un salario reale di 500 euro, se ti va bene.

D’altronde che ci vuoi fare? Occorre fede nel Signore e cristiana rassegnazione. Così va il mondo. Con l’aiuto del Signore si andrà avanti. Dopotutto i santi servono proprio a questo. Quando si è in difficoltà basta una preghiera a qualche santo e … speranza che tutto si aggiusti per il meglio.

Chi meglio di padre Pio? Anche la famiglia Cassano si rivolge a Lui per continuare ad accrescere il suo patrimonio. E la devozione ora è molto più grande dopo aver fatto sistemare la statua in quella pubblica piazza.

Sorgono una serie di obiezioni. Se veramente si voleva fare del bene alla collettività, perché non provare a far lavorare in modo giusto e regolare i propri dipendenti, con orari e paga regolari, secondo quanto prevedono i contratti stipulati con le organizzazioni sindacali? Forse così facendo la famiglia Cassano verrebbe veramente ricordata con stima in quanto imprenditori illuminati.

Inoltre se proprio si voleva una statua di Padre Pio, perché non metterla nel luogo più consono che è quello all’interno di una chiesa? Possibilmente senza tanta pubblicità e con una certa discrezione e riservatezza che è quanto ogni fede religiosa prescrive.

A proposito, se domani a qualcuno venisse in mente di far mettere una statua di Budda in Piazza XX Settembre, con che scusa si dovrebbe negargli il permesso?”

Ecco invece cosa scrive la Gazzetta del Mezzogiorno martedì 28/07:

“MARTINA DOPO L’INAUGURAZIONE DI SABATO

Ancora polemiche e proteste sulla statua di Padre Pio collocato in piazza Umberto

[A.Q.]

• La statua di padre Pio inaugurata sabato sera a Martina in piazza Umberto porta con sé ancora delle prese di posizione. Un cittadino, Martino Tulipano, in realtà lo aveva fatto sabato sera stesso con un cartello esibito proprio mentre era in corso l’inau – gurazione. Avrebbe preferito, Tulipano, che «una piazza storica non venisse occupata con questa statua che si poteva mettere altrove». Nel suo manifesto Tulipano ribadisce, come da tempo fa con le sue iniziative di protesta, la necessità di tornare a provvedimenti nel pieno della legalità e fa un esempio: quello della costruzione di palazzi che hanno di fatto ostruito l’affaccio alla Valle d’Itria dalla zona Spirito santo.
Ma un attacco duro all’iniziativa viene dai Comunisti Italiani (sezione Gramsci) che parlano praticamente di una iniziativa medioevale e, dal loro punto di vista, anche delle condizioni lavorative e salariali dell’impresa che ha finanziato l’acquisto della statua. Dice il Pdci di Martina: «Se proprio si voleva una statua di Padre Pio, perché non metterla nel luogo più consono che è quello all’interno di una chiesa? Possibilmente senza tanta pubblicità e con una certa discrezione e riservatezza che è quanto ogni fede religiosa prescrive. A proposito, se domani a qualcuno venisse in mente di far mettere una statua di Budda in piazza XX Settembre, con che scusa si dovrebbe negargli il permesso?»
Fatto sta che sabato sera in piazza c’erano parecchie persone a quella inaugurazione e non è infrequente vedere, in questi giorni, gente di ogni età fermarsi davanti a quella statua per dire una preghiera. C’è la libertà di protestare, c’è quella di essere devoti. E di devozione ha parlato nel suo discorso il sindaco Franco Palazzo nell’accogliere il monumento. Che sarà di impatto visivo inadeguato secondo alcuni, o di inadeguato rispetto nei confronti dei non credenti secondo altri, ma ora c’è e ai fedeli la cosa piace”.

A questo punto chiunque si incazzerebbe…

Che Palazzo abbia finalmente ammazzato il Leviatano?

Dopo mesi di battaglie ieri è stato abbattuto il muro che ostruiva Via Trento a Martina Franca.

Il Leviatano è un mostro orribile che si scatena ogni volta che le classi entrano in guerra. Che siano esse operaie contro i padroni, o sudditi contro il re, il Leviatano si alza nella sua potenza e decide le sorti della battaglia. Ne parlava Hobbes nell’omonimo libro del 1600 e passa, in cui analizzava lo scontro del potere tra la monarchia e il popolo. Questo rapporto, una sorta di contratto sociale, costringe gli uni a seguire la legge dell’altro in modo che  non si viva allo stato di natura: nella giungla la lotta tra predatori e predati è perenne e per evitare questo, gli esseri umani, si danno delle leggi, affidano il potere ad uno, o ad una classe, e evitano di vivere nel perenne terrore di essere uccisi.

A Martina Franca non accade questo: l’amministrazione comunale assente permette che viga la legge del più forte. Come è accaduto in via Trento fino a ieri, dove un importante imprenditore locale ha fatto valere i suoi diritti di proprietà con la “forza” occupando la strada che le carte dicono essere sua. I cittadini hanno subito per qualche anno, ma ad ogni avanzamento di centimetro il malumore cresceva, fino a fine marzo, quando un comitato spontaneo di cittadini ha deciso di dire basta alla situazione chiedendo un intervento dell’amministrazione. Nel frattempo era stato approvato un piano di riqualificazione dell’area, considerando come dato di fatto l’appropriazione della particella privata da parte del Comune. Per dispetto l’imprenditore ha allargato sempre più i confini reali della proprietà, con gradini, cancelli, grate, muri e alberi, fino quasi a farli coincidere con l’effettiva dimensione della particella posseduta.

via trento dall'alto (da notare la vicinanza delle strisce bianche a quella gialla)

All’epoca della costruzione della strada, infatti, il sindaco di Martina era un certo Motolese, famoso perchè concludeva gli affari con semplici strette di mano. Il caso di Via Trento è uno dei tanti: la strada appartiene a tre privati, oltre a Lucarella, la famiglia Lupoli, poi Bellanova e Raguso. Non c’è mai stato un pubblico atto di esproprio o qualcosa del genere e la strada potrebbe essere chiusa da una sbarra senza che si violi nessuna legge. Il caso di Lucarella poi, è particolare. Alcuni testimoni narrano infatti che l’accordo con Motolese abbia avuto come obiettivo l’apertura delle due saracinesche che insistono sulla strada: il sindaco dava l’autorizzazione all’apertura, l’imprenditore concedeva la strada. Una stretta di mano e l’affare è fatto. Solo che, succeduto al padre il figlio, questi vuole rivendicare i diritti di una proprietà mai formalmente alienata.

progetto via trento

Siamo ai nostri giorni: i cittadini protestano, non possono transitare e non possono parcheggiare, i vigili multano e i confini si allargano. Il comitato non ce l’ha con l’imprenditore, come è ovvio, ma con l’amministrazione inadempiente. Solo che l’imprenditore ha modi di fare manco troppo gentili e potrebbe attirare su di sè il malumore. Nel frattempo  infatti aumenta e si arriva all’ennesima manifestazione per strada, poi al Comune e infine ieri, dopo tanto lottare, con un decreto urgente, gli operai del comune, spalleggiati da uno schieramento di polizia che manco il G8, si ingegnano ad abbattere il muro e ridare al pubblico ciò che deve essere pubblico. Solo che tutto ciò rimane illegale: la proprietà è privata e secondo Lucarella Angelo, nipote di quello della stretta di mano, il diritto pubblico è superiore, ma deve essere corrisposta un’indennità corrispondente al danno. Il suolo è di vitale importanza per l’azienda e la somma predisposta dall’amministrazione è troppo bassa.

Alla fine il Leviatano è intervenuto con la sua forza bruta a risolvere una questione che aveva le carte in regola per degenerare. Ma che non è detto che tutto questo sia finito qui…

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Il distretto dove lo metto?

Nulla di fatto per la sede del distretto sociosanitario: la ASL chiede chiarimenti e nel frattempo si aspettano i risultati della gara d’appalto.

L’ingegnere della Asl rischiava di fare la fine della sposa di Pulsano: tre quarti d’ora ad aspettare che qualcuno del Comune si facesse vivo. Tre quarti d’ora al sole in via Ceglie in attesa che l’ingegnere Ceppaglia si presentasse all’appuntamento preso davanti all’assemblea di cittadini, sindacati e associazione il giorno prima, durante l’animata riunione sulla sede del distretto sociosanitario. «Ci vediamo all’una domani, così vediamo insieme l’area e firmiamo le carte!», così concluse l’incontro il sindaco Palazzo, finalmente contento di un accordo. Il giorno dopo però all’incontro si presentano un geometra comunale e il consigliere Emiliano Nardelli che indicano ai tecnici ASL la particella scelta ma non presentano alcuna documentazione riguardante: niente planimetrie, niente mappe, niente riferimenti. I tecnici tornano a Taranto con un pugno di mosche e immediatamente parte nei confronti del Comune una lettera in cui si pretende della documentazione dettagliata. L’ufficio tecnico afferma di aver inviato il materiale ma agli uffici della ASL non è ancora pervenuto nulla. Moschettini ci dice: «Non è possibile prendere una decisione in merito senza avere delle carte: l’area che ci hanno fatto vedere non mi sembra tutta edificabile, ci sono dei canali e in mezzo ci passa una strada». Per la costruzione della sede del distretto infatti, l’ASL ha chiesto un terreno di almeno dodicimila metri. La costruzione sarà finanziata dai fondi FESR, europei, e Martina è l’ultimo comune a rispondere alla chiamata. In realtà già da dicembre i tecnici fanno sopralluoghi: il primo al Pergolo, dalle parti del Palazzetto dello Sport, ma anche lì i tecnici hanno chiesto delle carte che non sono mai arrivate. Dopo qualche mese il comune convoca la cittadinanza, le associazione e i sindacati a decidere insieme di portare il distretto a Monte Tullio. La scelta “condivisa” salta perché si fanno notare le difficoltà di collegamento con l’area scelta, che dista almeno tre km da Martina. La riunione viene aggiornata con la promessa che il distretto non sia un episodio, ma venga inserito in una riflessione globale sui servizi comunali. Infatti il 7 luglio scorso viene nuovamente convocato un incontro per comunicare alla città di aver trovato la soluzione: Ortolini.

E siamo punto e daccapo: i sindacati fanno notare che comunque la struttura è lontana dal centro e quindi la natura stessa della sede del distretto sociosanitario viene meno. La discussione si fa animata: Colasanto, il dirigente dell’ASL di Taranto fa sapere che non possono esprimere un giudizio su qualcosa appresa pochi minuti prima e quindi chiede un sopralluogo, il cui seguito è noto.

Per la costruzione della sede i tempi previsti, secondo i tecnici dell’ASL è di almeno tre anni, nel frattempo quindi l’Azienda Sanitaria stanzia dei fondi per l’affitto di un immobile che ne faccia temporaneamente le veci. Alla gara si presentano i tre. In una nota scritta del 21 maggio scorso, la ASL chiede al Comune di Martina di esprimersi relativamente all’agibilità pedonale del ponte sulla ferrovia, in riferimento alla gara. Il comune, con una nota a firma del dirigente ai Lavori Pubblici del 10 giugno dice: “si comunica che la struttura è fruibile sia dal punto di vista del transito veicolare sia del transito pedonale”. La nota non fa riferimento ai trasporti pubblici e inoltre è in evidente contrasto con quanto affermato nel 1994 dal commissario straordinario Di Caprio riguardo all’agibilità. All’epoca della costruzione del ponte infatti, fu fatto notare che i passaggi pedonali erano troppo stretti (citando testualmente: “varia da un minimo di 48 cm ad un massimo di 54 cm […] risultando la larghezza utile del marciapiedi notevolmente inferiore agli standards minimi di legge”). Per lunedì è comunque prevista la risposta della commissione sulla gara.

Tornando all’area destinata per il distretto, secondo il PRG martinese, le aree destinate a servizi che abbiano un’estensione di almeno dodicimila metri quadri sono diverse, oltre quelle presentate dall’amministrazione, e alcune di loro sono addirittura nella città: la zona Votano, l’area alle spalle della Madonna della Sanità e la zona a ridosso di Via Gramsci nel quartiere Carmine, solo per citarne alcune. Perché non pensare ad alcune di queste come sede del distretto?

Quello che rimane, infine, è il rischio che il distretto sociosanitario Martina Franca – Crispiano rimanga senza sede, a differenza di tutti gli altri comuni jonici che per tempo hanno risposto alla chiamata della ASL.

PS: mentre scrivevamo, siamo venuti a conoscenza dell’autocandidatura a sede del distretto da parte dell’Hotel Dell’Erba, con una lettera indirizzata al sindaco Palazzo, alla ASL e ai sindacati.

FLORIDO VINCE: GOVERNARE CON LA TESTA O GOVERNARE CON LA DESTRA?

L’asse D’Alema – Casini mostra i primi risultati: allearsi con la destra per sconfiggere le destre.

Florido ha mantenuto il controllo della Provincia. Per farlo ha dovuto, al secondo turno, allargare la propria coalizione a Fisicaro e a Stefàno e a pezzi del gruppo che sosteneva Tarantino. Ha realizzato, con questo schema, quel “laboratorio” scaturito dall’asse D’Alema – Casini, una sorta di fronte democratico contro la deriva berlusconiana della società, e ha dimostrato che l’alleanza di tutti i partiti in funzione anti PdL funziona. Cioè, il gruppo eterogeneo di simboli e personaggi riesce a prendere più voti che i partiti della maggioranza di Roma. Il genio di D’Alema però sembra sprecato in quest’operazione, dato che sarebbe bastato fare una semplice somma delle percentuali delle singole sigle per capire che Berlusconi e i suoi in Italia hanno tutto fuorchè la maggioranza. La scommessa di questo “laboratorio”, che vince  anche a Bari città, si basa essenzialmente nel creare una sorta di gramsciano “blocco democratico” per contrastare l’avanzata delle destre populiste e autoritarie.

Della bontà del progetto, del suo nobile fine, non si hanno dubbi: il CLN metteva insieme democristiani e comunisti, oltreché liberali e repubblicani, riuscendo infine a scacciare i fascisti, ma sul fondo giace una forte differenza tra il ’43 e il 2009. Nel secolo scorso la crisi dello stato di diritto era fortemente sentita, accentuata dall’entrata in una guerra suicida al fianco di un dittatore sanguinario. Gli italiani erano sì disperati, ma erano anche educati attraverso sotterfugi ai divieti di parlare di politica da parte del regime a raggrupparsi, a pensare collettivi ad essere comunità. Ora invece, grazie alla parcellizzazione della società che sostituisce la playstation alla sala giochi, internet ai circoli di partito, la sensibilizzazione delle masse è difficile e la creazione di un reale fronte democratico è un’impresa ardua. L’operazione Florido, in cui dalla sera alla mattina affianco delle falci e martello c’erano scudi crociati ed ex della Fiamma Tricolore, non sembra basarsi su una reale discussione politica che mette alla base del compromesso il male minore, ma ha l’aria di essere una mera addizione di cifre per mantenere il sedere sulle poltrone. Che questo poi significhi evitare di consegnare la Provincia a Fitto e ai suoi, diventa conseguenza e non fine. Pare. Stando alle dichiarazioni dei diretti interessati non è così. Pasquale Lasorsa, consigliere comunale di Martina, candidato nella lista Io Sud, un passato alla destra di AN, e un primo turno alle provinciali a fianco di Cito, schierarsi con Florido è: «La scelta migliore, dato che a livello locale le ideologie del novecento possono essere messe da parte in nome del bene comune. È ovvio che non era possibile appoggiare una coalizione che comprende i diretti responsabili del dissesto di Taranto e della situazione squallida in cui versa Martina Franca». L’alleanza in nome del buongoverno, che mette da parte le differenze per lavorare insieme al bene comune. Ma quale? È impossibile pensare che non ci siano differenze tra il piano regolatore pensato dalla corporazione degli imprenditori edili da quello degli ambientalisti. Ed è solo un esempio. Non vorremmo essere nei panni di Florido quando dovrà nominare gli assessori.

Francesco Brigati, di Rifondazione Comunista, che ha scelto dopo l’ingresso dell’Udc e di Io Sud di passare all’opposizione, fa un’analisi diversa della questione, partendo dalla pratica attuata per l’apparentamento: «Noi non eravamo per niente d’accordo all’entrata dell’Udc nella coalizione, lo abbiamo ripetuto fin dalle prime riunioni. Ma nonostante la lealtà dimostrata a Florido e alla coalizione, la notizia dell’apparentamento ci viene comunicata a cose già fatte. Questo dimostra che l’alleanza non è in base a convergenze politiche, ma è un gioco di potere per mantenere le poltrone»

Il gioco di potere sarebbe stato quello di fare un’iniezione di destra in un centro sinistra che non riesce a vincere, appesantito da un PD che non sa se è pesce o carne, e dai piccoli feudi personali da difendere ad ogni costo. Un’iniezione che lungi dall’essere vaccino contro l’avanzata delle destre, somministrando un poco di esse per creare anticorpi, si dimostrerà invece una diffusione dei loro antigeni.

Da quaggiù invece, il dato più allarmante rimane comunque l’astensionismo, fortissimo e ormai in ascesa, che dimostra il disagio dei cittadini, di chi non è ricattato, di chi non è fortemente ideologizzato, di non sentirsi più rappresentato da nessun partito, da nessuna coalizione, da nessun politico. È l’altro lato della medaglia che vuole che i politici siano solo buoni amministratori, burocrati imperiali, impiegati di sportello del sistema e dall’altro la massa critica dei cittadini che, avendo già capito questo, non si scapicollano per andare a votare chi avrà solo il compito di firmare e timbrare fogli. È la cancrena di un regime che si sta afflosciando sulle sue stesse regole. L’astensionismo, il disagio dei cittadini di cui è campanello d’allarme, pretende altre forme di partecipazione, più libere, democratiche, che facciano diventare le esigenze territoriali non già argomenti scontati sull’ampiezza di una strada ma discussioni sul futuro dei territori.

I cittadini sono più avanti, e si stanno iniziando a stancare di aspettare che i propri rappresentanti li raggiungano.

E PER CASA UN TETTO DI STELLE

Dopo sei mesi scade la convenzione tra la Prefettura e la Croce Rossa. Nessun futuro certo per i rifugiati ospitati presso il Dell’Erba di Martina Franca.

Dopo sei mesi di permanenza discreta, i cento richiedenti asilo ospitati presso l’Hotel Dell’Erba di Martina andranno via. Così come al loro arrivo, improvviso e silenzioso, così alla loro partenza, decretata per la scadenza della convenzione tra la Croce Rossa, che gestisce il centro e la Prefettura, che paga da parte del Governo, tutto accadrà nel silenzio più perfetto.

Strana storia quella dei migranti martinesi, che all’inizio non sapevano nemmeno dove fossero ed erano circondati da persone che nemmeno sapevano chi fossero. Erano vestiti tutti uguali e giravano per la città lungo Corso Italia e tutti li scambiavamo per una squadra di pallone. Poi iniziarono a girare alcune voci sulla loro reale identità fin quando a metà dicembre non decidono di manifestare in piazza per chiedere più diritti. Dopo due settimane di permanenza a Martina Franca un gruppo di loro capisce che c’è qualcosa che non va: vengono convocati i giornalisti e con gran pacche sulle spalle ci viene comunicato che è tutt’apposto. Tutt’apposto perché i manifestanti sono ragazzi, che bisogna capirli, che non hanno capito come funziona la questione, che non dipende da noi, ma da altri, che noi già abbiamo fatto di più di quello che ci spettava. Già, ma cosa?

Con l’ordinanza del Presidente Berlusconi del 12 settembre del 2008, vengono istituiti dei CARA (centri di accoglienza per richiedenti asilo) supplementari, in ausilio del sistema presente perché il numero degli sbarchi durante l’estate è nettamente aumentato. L’ordinanza prevede che si trovino delle strutture, in tutto il paese saranno una sessantina, per ospitare diecimila migranti in attesa che la domanda di asilo venga vagliata dalle commissioni territoriali. Un implemento dell’accoglienza notevole, con una spesa complessiva di milioni di euro. La convenzione tra la Croce Rossa di Taranto e la Prefettura prevede una spesa giornaliera di 47 euro a persona, che dovrebbe comprendere vitto alloggio e tutti i servizi che il Ministero dell’Interno prevede per una buona accoglienza: mediazione interculturale, mediazione linguistica, corsi di lingua, supporto legale, supporto socio psicologico, assistenza sanitaria, acquisto di vestiti e di beni di prima necessità. In sei a Martina è arrivato circa un milione di euro con cui la Croce Rossa ha reso possibile l’accoglienza dei migranti.

L’ordinanza del 12 settembre però, è in deroga a tutta la legislazione italiana sull’immigrazione: l’incremento degli arrivi ha fatto scattare un’emergenza che, per essere risolta, il Governo decide che la legge normale non basta. I centri governativi di accoglienza, che poi assumono lo status di CARA, vengono aperti in fretta e furia e affidati alla gestione di enti, per la maggior parte ecclesiastici, senza nessuna gara di evidenza pubblica, vengono assegnate delle somme abbastanza alte (di solito per l’accoglienza dei migranti la somma quotidiana procapite è nettamente inferiore) e si lascia tutto al buon cuore di chi gestirà il posto, perché la convenzione non specifica i capitoli di spesa, non dice quanto viene riconosciuto alla struttura ospitante (in questo caso il Dell’Erba), non dice quanto bisogna spendere per i corsi di italiano, per esempio. E soprattutto non prevede una rendicontazione finale, in base alla quale verificare le spese. Diventa probabile che una cosa del genere si possa trasformare in un affare lucroso, se non conoscessimo le pie intenzioni degli enti che si fanno carico della questione, basterebbe avere a disposizione dei volontari anche non qualificati che lavorino gratis, acquistare materiale di scarsissima qualità, ad esempio scarpe da ginnastica che durano meno di dieci giorni, affidarsi per i corsi di italiano a insegnanti in pensione, e qualcosa in tasca rimane.

A questo però si deve aggiungere che i soldi stanziati dal Governo per l’accoglienza dei rifugiati, sono solo per la prima accoglienza, per i CARA, mentre a tutta la rete SPRAR, che gestisce i centri di seconda accoglienza, fondamentali per l’inclusione e l’integrazione, vengono tagliati i fondi. Il migrante in pratica arriva in Italia, viene lavato stirato controllato e interrogato e infine marchiato buono o cattivo. Poi viene sbattuto in strada al suo destino, con pochissime prospettive di sopravvivenza legale. I centri SPRAR servivano appunto ad accogliere i rifugiati e a trovar loro casa e lavoro, con l’attivazione di una rete di realtà associative e cooperative e istituzionali. Ai ragazzi che sono a Martina una cosa del genere non accadrà. Il 30 maggio scade la convenzione: sbattuti fuori dall’hotel, saranno in balia degli eventi, delle relazioni che sono riusciti a mettere su in questi mesi, delle persone che offriranno loro un lavoro più o meno regolare e di chi deciderà loro di affittare una casa. Dal 30 maggio, in pratica, sarò probabile vedere decine di ragazzi che non sapranno dove dormire, che mangiare, come lavarsi, cosa fare. Per questo motivo la Prefettura ha convocato un paio di settimane fa il Comune di Martina, la Provincia e alcuni enti tra cui Babele di Grottaglie, che gestisce un centro SPRAR, la Croce Rossa e la Caritas. In questa riunione si doveva trovare una soluzione immediata per il futuro dei ragazzi, e si è proposto di trovare una somma per permettere loro di andare dove vogliono, se vogliono oppure di affittare una casa per un mese. Somma che secondo Babele si dovrebbe aggirare a non meno di cinquecento euro a persona, da dividere tra Comune e Provincia. Nessuno però vuole farsi carico dell’onere, il Comune ha dato la disponibilità per diecimila euro, ma sarebbero davvero insufficienti. La Provincia è in campagna elettorale e non esistono realtà in grado di occuparsi in maniera strutturata della questione.

I ragazzi dell’hotel, di cui più della metà ha ottenuto il permesso di soggiorno, sapranno affrontare quest’altra difficoltà, dopo deserti e torture, perdere un tetto sulla testa e il cibo ogni giorno potrebbe essere un’inezia.  Ma i martinesi, sapranno conviverci?

Il buon affare dei misteriosi africani di Martina Franca

Questo articolo è stato pubblicato sull’Almanacco Clandestino di Carta il 10 Aprile 2009. Tre giorni dopo, a Pasqua, sulla Gazzetta del Mezzogiorno esce un interessante reportage sulla stessa vicenda, ma dai toni nettamente diversi.

Riteniamo importante segnalare che da quando l’articolo è stato redatto a quando è stato pubblicato la Croce Rossa si è fatta carico del documento di viaggio.

Ecco l’articolo di Carta

Quando arrivarono a Martina, ognuno aveva le proprie teorie su chi potessero essere. Alcuni dicevano fossero dei giocatori stranieri venuti in trasferta, per il calcio o per la pallavolo. Altri dicevano fossero turisti oppure studenti in gita. Nessuno aveva un’idea precisa: sarà perché erano vestiti uguali, sarà perché erano per la maggior parte giovanissimi oppure sarà stato perché le amministrazioni non hanno fatto nessun cenno alla cittadinanza riguardo questa novità. Ad un certo punto di fine ottobre ci siamo trovati in casa cento ragazzi spaesati che non sapevano dove fossero, in mezzo a persone che non sapevano chi fossero. L’unica certezza era che alloggiavano presso l’Hotel Dell’Erba, struttura alberghiera a tre stelle, che di solito ospitava congressi e qualche turista di passaggio. Attraverso i giornali si è scoperto che, a causa dell’ingente numero di sbarchi a Lampedusa, i posti nei centri di accoglienza erano terminati e il Governo, tramite le Prefetture, aveva stretto accordi con strutture private per ospitare i richiedenti asilo. In provincia di Taranto, Federalberghi aveva messo a disposizione due strutture, una a Castellaneta Marina e una, il Dell’Erba, a Martina Franca, la prima gestita dalla Caritas e la seconda dalla Croce Rossa.

La presenza dei cento africani a Martina Franca non si fa notare, fino a quando a metà dicembre il gruppo degli eritrei non organizza una manifestazione spontanea in piazza, con cartelli scritti in un italiano approssimativo, in cui chiedevano la possibilità di avere un «pocket money», oppure schede telefoniche e sigarette e, soprattutto, notizie riguardanti la loro richiesta di asilo.

La manifestazione dura pochi minuti, il tempo che intervengano le volanti della polizia per scortarli poi nell’albergo. La notizia si sparge e in breve viene convocata una conferenza stampa all’interno del centro per chiarire che le cose vanno nel migliore dei modi, e che la manifestazione è stata causata dalla pretesa degli ospiti di ottenere cose che non spettano loro. Chi parla è Domenico Maria Amalfitano, presidente del comitato provinciale tarantino della Croce Rossa, ex parlamentare DC, che spiega che la presenza e i servizi ai richiedenti asilo presso il centro di Martina Franca, sono regolati da una convenzione tra la Croce Rossa e la Prefettura di Taranto, che l’hotel è temporaneamente trasformato in Centro di Accoglienza per i Richiedenti Asilo [CARA] e che si stanno muovendo per dare agli ospiti tutto quello che serve perché possano sentirsi accolti. La prima cosa è l’assistenza sanitaria, attraverso una convenzione con la ASL. Nonostante la legge italiana lo preveda a prescindere. Tutt’apposto dunque, ci assicura il presidente, la protesta – secondo lui – nasce da un’incomprensione da parte dei ragazzi che pretendono cose che non sono previste dalla convenzione.

Questa parola, “convenzione”, in questa storia riemerge sempre più a sostituire il termine “legge”: i servizi sono offerti secondo la “convenzione”, i corsi di italiano sono fatti perché lo prevede la “convenzione”, i vestiti sono acquistati in base alla “convenzione”. Nessuno parla di legge, ma di un accordo di cui è difficilissimo entrare in possesso, magari solo di sfuggita per una rapida occhiata, giusto per capire quali sono i diritti degli «ospiti» dell’albergo. L’unica cosa che si comprende è che tutto quello che sta accadendo è di natura straordinaria ed emergenziale, ma anche che traccia un orizzonte di cambiamento nel sistema dell’accoglienza dei migranti.

Secondo i dati forniti dall’Anci nel dicembre dello scorso anno, i richiedenti asilo in Italia nel 2008 erano quasi 27 mila, triplicati rispetto a tre anni prima. Questo significa che il sistema di protezione ed inclusione che comprende i centri di prima e di seconda accoglienza, i centri di accoglienza per richiedenti asilo (C.A.R.A.), tutto il sistema dello S.P.R.A.R., non è sufficiente a rispondere all’incremento della domanda. Per questo, con il decreto del 12 settembre 2008, il Ministero dell’Interno estende lo stato di emergenza per l’eccezionale afflusso di migranti a tutto il territorio nazionale e, attraverso un’attenta ricerca sul territorio, individua circa 60 strutture da destinare a centri di accoglienza per un totale di 10.488 posti, tra cui Martina Franca e Castellaneta Marina. Nella maggior parte dei casi, questi centri sono strutture alberghiere messe a disposizione dalla categoria e dati in gestione a enti ecclesiastici e laici. Il provvedimento non è un’improvvisazione, ma sembra il rispolvero di un progetto del 1999 chiamato “Azione comune”, che aveva come capofila il CIR e come partner, tra gli altri, ACLI, Caritas, CTM – Movimondo, CISL, UIL, come finanziatori la Commissione Europea e il Ministero dell’Interno, e come obiettivo l’accoglienza dei richiedenti asilo che facevano richiesta nel nostro paese. All’epoca i numeri non erano quelli di oggi e l’esperienza di accoglienza non era ancora strutturata. Il progetto prevedeva l’accoglienza in piccoli o medi centri, assistenza sanitaria e consulenza psicologica e sociale. Proprio quello che accade nell’albergo. Ma se il progetto “Azione comune” si è poi evoluto nel sistema S.P.R.A.R., l’ordinanza del Presidente del Consiglio del 12 settembre rappresenta un evidente passo indietro.

Ad ascoltare le opinioni dei ragazzi ospitati, le mancanze da parte dell’ente gestore sono evidenti. «Non siamo animali», ci dice uno di loro, «non abbiamo bisogno solo di mangiare e di dormire». Altri invece sono convinti che la Croce Rossa si metta in tasca tutti i soldi che invece spetterebbero agli ospiti. Una convinzione scaturita dal fatto che i richiedenti asilo ospitati a Martina Franca hanno potuto comparare la loro condizione con le esperienze pregresse di amici o parenti già presenti in Italia. Non solo dormire e mangiare: «I nostri diritti sono altri», ci continua a dire il ragazzo con cui parliamo, «vogliamo sapere a che punto è la nostra pratica presso la commissione, parlare con persone esperte. Se chiediamo alla Croce Rossa, l’unica risposta è:non lo so».

Dice Enzo Pilò, dell’associazione Babele di Grottaglie, che gestisce il progetto per la rete SPRAR “Passi di donna”, che ha verificato più volte le condizioni del centro di Martina, che la mancanza più evidente è rispetto all’informazione legale: i ragazzi non sanno nulla di quello che chiederà loro la commissione territoriale, che documenti avranno, cosa prevede la legge italiana, e soprattutto non sanno che fine faranno. La Croce Rossa sostiene che l’informativa legale è stata fatta, e che un avvocato sta anche seguendo le pratiche dei ricorsi ai dinieghi. Che tipo però di informazione non lo dice, ma può essere ricostruito quanto accade confrontando ciò che dice la convenzione e quello che è stato fatto. Il documento firmato dalla Prefettura e dall’ente gestore prevede che, a parte i bisogni fondamentali, l’ente preveda anche all’assistenza sanitaria, psicologica, sociale e legale e soprattutto ad un servizio di mediazione culturale. Cosa che effettivamente avviene all’interno del centro, ma tutto fatto dai volontari della Croce Rossa e non da personale esperto o qualificato. Una ragazza che parla inglese diventa la mediatrice e un volontario che è avvocato spiega la legge sull’asilo. Una legge che dovrebbe essere distribuita all’arrivo nel centro in almeno cinque lingue diverse e che invece i ragazzi hanno avuto solo in italiano: «Ho avuto questo», ci dice un ragazzo eritreo indicando il malloppo della legge italiana sull’asilo , «ma non so cosa sia».

Dalla convenzione si evince che la spesa giornaliera per ciascun ospite è di circa cinquanta euro, qualcosa in più rispetto allo standard dei centri di accoglienza. Con questa somma l’ente dovrebbe pagare la struttura che ospita, i servizi minimi e quelli previsti dalla convenzione. L’uso del denaro però, è molto discrezionale, sulla convenzione non c’è nessun riferimento a quanto spendere per quale tipo di servizio. L’unica cosa certa è che l’Hotel Dell’Erba è molto caro ma, a quanto afferma la dottoressa Distani, capo di gabinetto della Prefettura tarantina, l’urgenza con cui il ministero ha chiesto di trovare le strutture adatte, non ha lasciato scelta. Per il resto c’è una totale libertà, con l’obbligo però della rendicontazione. Di questo ne siamo certi perché la Caritas di una parrocchia locale, si era proposta di procurare ai richiedenti dei vestiti. La risposta della Croce Rossa è stata che o erano nuovi oppure sigillati, altrimenti niente. A seguito della protesta di dicembre, a cui poi ne è seguita un’altra, dopo poco più di dieci giorni, per gli stessi motivi, la Croce Rossa ha deciso di dare piccole somme di denaro a ciascuno degli ospiti. A Natale hanno avuto quindici euro, un regalo che di tanto in tanto, senza una scadenza fissa, si ripete.

La situazione di precarietà ha prodotto delle reazioni da parte dei richiedenti asilo. A parte le manifestazioni, alcuni di loro si possono vedere in giro a Martina a fare la colletta per le sigarette, a cercare di ottenere informazioni, oppure un lavoro. In maniera diversa, anche a seconda della nazionalità, molti si sono arrangiati. Alcuni dei ragazzi del Bangladesh hanno trovato lavoro presso i fruttivendoli ambulanti, qualcuno invece vende ombrelli o borse per strada. Sull’argomento, le parole del responsabile per la Croce Rossa del centro, che ama presentarsi come colonnello Calò, sono emblematiche: “Questo è un buon ammortizzatore sociale”. Nel frattempo però alcuni di loro hanno ottenuto il riconoscimento, chi di rifugiato chi invece l’asilo politico. Il passo successivo è quello dei documenti, di cui uno fondamentale: il documento di viaggio. Esso sostituisce il passaporto e permette loro di viaggiare. Per averlo però bisogna sborsare una cifra, tra fotografie, bolli e bollettini, di più di sessanta euro. Denaro di cui è difficile che i rifugiati siano in possesso. A questo punto, secondo la prassi, l’ente gestore del centro, si accolla le spese e si prodiga a fornire informazioni. A Martina questo non è accaduto, ed è il colonnello Calò a dare una spiegazione: “Mica questa è un’agenzia di viaggio”. Per le tasse sul permesso di soggiorno invece, solo l’intervento della Prefettura ha fatto sì che fossero accollate all’ente gestore.

Poi ci sono le informazioni. La Croce Rossa sostiene di aver svolto appieno il ruolo, dichiarandosi sempre pronta a fornire agli ospiti spiegazioni e consigli. A parte la buona volontà dei volontari, questo però non spiega come mai i richiedenti asilo si sono presentati in tutti gli uffici di Martina a chiedere cosa si fa, come si fa e quando si fa, rispetto alle pratiche di richiesta di permesso di soggiorno. Sono stati più volte alla Cgil, che si è attivata prontamente, poi alla Cisl. Infine hanno trovato in un’ispettrice di polizia, che li ha presi in simpatia, una porta sempre aperta per tutte le notizie necessarie. Ma non basta. E questo lo si vede appena si arriva davanti al cancello che separa il CARA dal resto del mondo. Si crea un capannello immediato di gente che in un inglese con diverse sfumature chiede notizie, informazioni, rassicurazioni.

La convenzione è stata rinnovata di altri due mesi. Fino al 31 maggio. Poi nessuno sa che cosa accadrà, dato che i centri di seconda accoglienza sono pieni. Nessuno sa fornire una risposta, non la Prefettura che aspetta notizie dal Ministero, non la Croce Rossa che aspetta notizie dalla Prefettura. Di certo rimane che l’esperienza è stata tanto «bella» che Amalfitano pare sia in cerca nel territorio di Taranto di una struttura da trasformare in un centro di accoglienza professionale.